Scuola, perché aprire. I dirigenti scolastici Contarini e Bergamo a confronto a pochi giorni dal suono della prima campanella di un anno complesso
La riapertura delle scuole è ormai alle porte. Ed è una necessità, un termometro di normalità: se la scuola va avanti è segno che la società è ripartita, se si blocca, tutto langue. Ma la riapertura delle scuole è una necessità anche da un punto di vista umano, di relazioni, socializzazione. Perché allora sembra così difficile dare avvio ad un anno scolastico sereno? Il punto di vista di don Cesare Contarini, rettore dell’Istituto Barbarigo di Padova e di Andrea Bergamo per anni Dirigente dell'Ufficio scolastico di Padova e Rovigo e dall’anno scorso preside dell’istituto Don Bosco di Padova.
«La scuola è un termometro di normalità per tutta la vita sociale. C’è una buona fetta di popolazione interessata. Ecco perché è necessario ripartire». Così risponde don Cesare Contarini, rettore dell’Istituto Barbarigo di Padova, alla banale domanda sul perché la scuola debba ripartire. E continua: «Se la scuola va avanti è segno che la società è ripartita, se si blocca tutto langue. Certo, essendo un servizio pubblico in febbraio si è cercato di fare il possibile per evitare presunti focolai e quindi l’attivazione della didattica a distanza era un atto di responsabilità per non correre rischi eccessivi». Ma la riapertura della scuola risponde anche a un bisogno più umano, di socializzazione e relazione: «Non abbiamo più visto i nostri studenti da fine febbraio – spiega infatti Andrea Bergamo, fino al 31 dicembre 2018 responsabile dell'Ufficio scolastico territoriale di Padova e Rovigo e ora preside dell’istituto Don Bosco di Padova – li abbiamo visti a distanza. Più che il rapporto scolastico e didattico, che è stato portato avanti con la didattica a distanza, manca il rapporto umano, la possibilità di dare un abbraccio. Possiamo dire che è venuto a mancare un contorno di sostanza, anzi, una pietanza vera e propria».
Ma la ripartenza sembra vacillare, l’appuntamento che insegnanti e studenti si sono dati a giugno, attraverso uno schermo, per rivedersi a settembre, sembra essere messo in discussione. Perché è così difficile dare avvio all’anno scolastico in maniera serena e “normale”? È la burocrazia che ostacola? La paura? L’incapacità di organizzare e trovare soluzioni? «Il blocco totale e generalizzato e il desiderio di ripartire al meglio – chiarisce don Contarini – fanno emergere problemi storici, come le famose "classi pollaio", gli edifici vetusti con tipologie di aule non più adatte. Problemi di ieri, non di oggi. A questo si aggiunge che in gioco c’è la salute e quindi non si può rischiare, è una grande responsabilità. Tutte le indicazioni sono preziose ed è il momento di una presa d'impegno collettiva. Tutti devono essere corresponsabili perché in gioco c’è un bene comune».
«La situazione si sta gestendo con buon senso – afferma Andrea Bergamo – non vedo casi critici. Nelle scuole paritarie abbiamo lavorato bene, ma anche le statali si sono mosse e globalmente gli allarmismi non sono giustificati. Certo, ci sono delle difficoltà per quanto riguarda le aule e il distanziamento, che riguardano però una piccola percentuale di scuole e le soluzioni ci sono, sono state indicate, ciò che rallenta i tempi di realizzazione è la necessità di ricorrere a enti terzi per attuarle». Tre le possibilità infatti per le scuole in difficoltà: si può ricorrere allo sdoppiamento della classe e ai cosiddetti supplenti Covid, si possono reperire locali extra (anche la Diocesi ne ha messi a disposizione), oppure si ricorre alla didattica a distanza a rotazione (una parte della classe lavora in presenza e gli studenti in esubero, a rotazione settimanale, seguono la lezione collegati da casa).
Sull'avvio della scuola sembra però incombere non solo la lentezza burocratica ma anche il timore del contagio già sperimentato a seguito dell’apertura, ad esempio, delle discoteche o dei luoghi di divertimento in generale: dove c’è stato assembramento si sono verificati casi di Covid-19, un rischio che però si conosceva. Viene naturalmente da chiedersi se in gioco ci fossero altri interessi tali da mettere a repentaglio anche la salute. «La scuola però non è luogo deputato allo sballo – chiarisce subito Bergamo – è un ambiente che induce a mantenere un comportamento consono. Sono modestamente tranquillo sul fatto che riusciremo a contenere i contagi ed evitare un nuovo lockdown collettivo, semmai potrà esserci una chiusura localizzata, laddove si dovesse avere un focolaio in una classe, e quindi per alcune settimane la scuola potrebbe chiudere continuando con la didattica a distanza». Certo, anche a scuola non mancano le occasioni di assembramento. I momenti maggiormente critici sono l’ingresso, l’uscita e la ricreazione, ma anche in questo caso le strategie per tenerli sotto controllo ci sono, ad esempio differenziando e utilizzando più ingressi, sorvegliando maggiormente il momento dell’intervallo, lavorando sulle cosiddette “coorti”, cioè su gruppi ristretti che siano sempre gli stessi.
«Per questo nuovo anno – conclude il rettore del Barbarigo – mi aspetto da tutti un sussulto di responsabilità per il prezioso bene comune coinvolto. Ma temo che quello che ci si augurava in marzo non si realizzi: temo che gli interessi dei singoli si facciano avanti e prevalgano ancora una volta su quelli della comunità, senza rendersi conto che ora serve proprio un supplemento di responsabilità, lungimiranza e programmazione».
Diritti
«Spesso facciamo il punto della situazione dimenticando come ci siamo arrivati – dice Andrea Bergamo – La classe insegnante è vecchia? È frutto delle leggi sul pensionamento. Chiedono l’esonero? È nei loro diritti di lavoratori. Chiedono il lavoro agile? È stato istituito dallo Stato italiano. Si arriva a uno scontro fra diritti e perde chi usufruisce del servizio, lo studente, mentre l’insegnante diventa il capro espiatorio. Non temo il Covid, prima o dopo finirà. Temo che non si siano fatti grandi passi, invece bisogna investire nella scuola e l’opinione pubblica, più che altre voci, deve continuare a tenerla al centro dei pensieri».
«Alla scuola oggi serve sussidiarietà». Gli insegnanti sono il collante del Paese
Gianni Zen risponde al telefono a un’ora dal consiglio d’istituto che darà il via libera alla ripartenza del Liceo Brocchi di Bassano del Grappa di cui è preside, la scuola più grande del Veneto con 2.250 alunni e 91 classi. «Sarà l’ultimo atto della mia carriera – confessa – da domani vado in pensione». Occasione preziosa per una riflessione ad ampio raggio su questo momento particolarissimo con il dirigente bassanese, che negli anni è stato anche parlamentare e funzionario del Ministero dell’istruzione.
La comunità scuola e la responsabilità dei docenti
«È necessario che i ragazzi, piccoli e grandi, riprendano al più presto le relazioni immediate che costituiscono il cuore della scuola – riflette – Finalmente lo abbiamo compreso: la scuola è fondamentalmente relazione, è comunità, e gli insegnanti sono mediatori rispetto al tempo di fragilità che tutti noi stiamo vivendo: possiamo coglierne il senso, il valore e il limite».
Proprio i docenti rischiano però di essere additati più come un problema che come una risorsa. Molti titoli di giornale in queste settimane hanno messo in luce la volontà di alcuni di sottrarsi al test rapido o la richiesta di esonero da parte di altri. «Il servizio degli insegnanti rappresenta un grande valore sociale – riprende il preside – Io ho riscontrato grande prontezza e voglia di mettersi a servizio, a fronte di poche eccezioni. Certo, loro sono il punto critico, da loro passa la possibilità per i ragazzi di vivere un’esperienza positiva oppure critica. Questo fattore può scatenare crisi personali e professionali. Ma credo che dobbiamo fare tanto di cappello per la serietà della stragrande maggioranza di queste persone, la cui responsabilità oggi rappresenta il collante della società».
Governo bocciato sulla gestione
Se c’è qualcosa che non ha funzionato in questi mesi, per Gianni Zen, è semmai la gestione dell’emergenza condotta a livello governativo. «È stata una gestione confusa, siamo stati sommersi di documenti, linee guida, note del comitato tecnico scientifico, della ministra, del commissario, a livello centrale e anche periferico. E oltre ai problemi delle scuole, dei dirigenti e degli insegnanti sono poi emerse questioni apparentemente di contorno ma fondamentali, come il trasporto. A questo punto la ripartenza doveva essere già pronta e invece manca personale, avremo molti supplenti e questo, quest’anno come nei precedenti, non fa il bene della scuola». Colpevolmente, sembra finito in secondo piano l’aspetto centrale della vita della scuola, quello educativo e culturale. «È così: credo che sull’organizzazione chi ha responsabilità dovrebbe dare delle linee generali, senza pretendere di scendere nei singoli dettagli, e affidarsi a chi vive quotidianamente la scuola. Spero che da questa vicenda abbiamo tutti imparato che alla scuola serve maggior sussidiarietà».
Guterres (Onu): rischiamo una catastrofe generazionale
"Sarà una catastrofe generazionale" ha detto il segreterio generale dell’Onu, Antonio Guterres, se le scuole non riaprono.
L’Onu, ai primi di agosto, alla presentazione del Policy brief “L’istruzione durante e dopo il Covid-19”, invitava i Governi a considerare la riapertura di scuole e università una priorità. Antonio Guterres, segretario generale, ha utilizzato parole forti: se le scuole non riaprono «sarà una catastrofe generazionale». E la situazione potrebbe peggiorare nei prossimi decenni con il rischio non solo di aumentare le disuguaglianze tra classi sociali ma di creare una classe dirigente del futuro non abbastanza istruita. Il rischio è quello di «sprecare un potenziale umano indicibile – ha insistito Guterres – minare decenni di progressi ed esacerbare disuguaglianze radicate». «Mentre il mondo fronteggia livelli insostenibili di disuguaglianza – ha aggiunto il segretario generale – abbiamo bisogno di istruzione, ovvero la grande livellatrice, più che mai».
Mattarella: scuola decisiva, ancor più dopo le chiusure
«La comunità della scuola è risorsa decisiva per il futuro della comunità nazionale – ha afferma il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione del 150° anniversario dalla nascita di Maria Montessori – proprio in quanto veicolo insostituibile di socialità per i bambini e i ragazzi: ne comprendiamo ancor più l'importanza dopo le chiusure imposte in questi mesi dalla pandemia. Esempi come quello di Maria Montessori esortano ad affrontare efficacemente le responsabilità di questo momento difficile».
Il Capo dello stato, che lunedì 14 settembre inaugurerà l'anno scolastico a Vo', il piccolo comune padovano diventato per primo "zona rossa", ha ricordato come la libertà, gli studi e l'esperienza di Montessori «hanno impresso un segno profondo nelle scienze pedagogiche e indicato orizzonti nuovi per la scuola, a beneficio di milioni di giovani in ogni parte del mondo».