Rete per la cittadinanza: “Non chiamatelo ius soli, riforma prima delle amministrative”
Nell’anniversario dell’Unità d’Italia gli attivisti di nuova generazione rispondono alle parole di Enrico Letta scrivendo ai segretari dei partiti di maggioranza per chiedere un incontro e fissare impegni concreti e una road map verso una nuova legge
“Chiediamo un incontro con i segretari dei partiti di maggioranza per discutere nel merito della riforma e per delineare una road map per la sua approvazione”. Lo scrivono in una lettera gli attivisti di Rete per la cittadinanza, che riunisce i ragazzi di seconda generazione. “Quest’anno ricorrono i 160 anni dell’Unità d’Italia e ci sono un milione e mezzo di nuovi italiani ancora 'da fare'. Sarebbe un bel segno poter approvare la riforma prima delle elezioni amministrative che vedranno le più grandi città d’Italia al voto” - si legge nella lettera -. “È davvero difficile accodarsi alle celebrazioni se molti abitanti dell’Italia odierna sono nei fatti ai margini della comunità politica e maggiormente esposti alle diseguaglianze economiche proprio in ragione del contenuto della normativa sulla cittadinanza”.
La Rete sottolinea come le parole di Enrico Letta sulla necessità della riforma della legge 91/92 suscitino sentimenti contrastanti: “Molte volte il tema è stato ripreso per poi essere subito abbandonato. Servono impegni concreti”. La Rete infine propone di abbandonare la definizione “ius soli” e parlare piuttosto di riforma della cittadinanza in senso più ampio: “temiamo che il richiamo allo ‘Ius soli’ possa essere veicolo di equivoci. È indispensabile, infatti, che la riforma della normativa non preveda soltanto il riconoscimento della cittadinanza per chi, figlio di genitori non italiani, nasce in Italia. È ugualmente importante che sia riconosciuto uno specifico percorso di accesso alla cittadinanza per chi cresce in Italia e, per chi vive stabilmente in italia, i requisiti richiesti e la tempistica dell’esame delle procedure siano resi radicalmente più equi”.
“La pandemia in corso ha reso le diseguaglianze ancor più visibili. O si accettano oppure si contrastano: non ci sono vie di mezzo - conclude la Rete -. È tempo di dare segnali di sostanziale discontinuità: l’approvazione di una nuova disciplina sulla cittadinanza può migliorare la qualità della vita di tante e tanti donne, uomini, bambine e bambini, e può consegnarci un Paese più equo, meno diseguale, più aperto e solidale”.