Ragazzi e violenza, Affinati: “Decifrare i segnali”. Perché le fragilità degli adolescenti spesso si trasformano in aggressività?
Impressionano gli ultimi fatti di cronaca che coinvolgono adolescenti, spesso le aggressioni si scatenano in maniera inaspettata e tra “insospettabili”
Nei giorni scorsi, nel cortile di una scuola media della provincia romana, una dodicenne ha accoltellato un coetaneo per futili motivi; a Piacenza un quindicenne ha spinto la fidanzatina di tredici anni giù da un terrazzo al settimo piano; nel napoletano un diciassettenne, durante un litigio, ha ucciso a colpi d’arma da fuoco un giovane di diciannove anni. Impressionano gli ultimi fatti di cronaca che coinvolgono adolescenti, spesso le aggressioni si scatenano in maniera inaspettata e tra “insospettabili”. Ne parliamo con Eraldo Affinati, scrittore e insegnante romano, fondatore con la moglie Anna Luce Lenzi nel 2008 della scuola Penny Wirton (oggi 65 in tutta Italia) per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati e autore del libro “Le città del mondo”, pubblicato da Feltrinelli qualche mese fa.
La violenza è forse il tratto identificativo di questa generazione?
Non credo che la violenza sia il tratto dominante di questa generazione, anche perché non dovremmo mai dimenticare che la grandissima maggioranza dei giovani per fortuna non commette reati, tuttavia quando accadono fatti criminosi nei quali sono coinvolti adolescenti il mondo adulto più consapevole si sente chiamato in causa in quanto percepiamo che la responsabilità di queste azioni può essere il frutto di un’educazione sbagliata, superficiale o disattenta.
Spesso a reagire in maniera violenta sono giovani insospettabili…
Ogni ragazzo e ragazza rifà a suo modo la storia dell’umanità indossando le maschere dei buoni e dei cattivi, come se dovesse mettersi alla prova per conoscere la propria personalità. La letteratura ci può aiutare a comprendere la natura potenzialmente ferina dei giovani: pensiamo alle opere di Jean Cocteau, Mario Vargas Llosa, William Golding. Oppure, senza andare troppo lontano, all’indimenticabile Lucignolo di Carlo Collodi. Ecco perché l’azione educativa va sempre intesa come una cura dell’umanità, non può essere ridotta a un semplice mansionario pedagogico.
Molti specialisti sottolineano il fatto che molti adolescenti faticano a “rispecchiarsi” nei sentimenti e nelle emozioni altrui, anche quando si tratta di coetanei… Cosa ne pensa?
Il rischio dell’introversione giovanile oggi è maggiore rispetto al passato a causa della rivoluzione digitale che sta modificando il nostro rapporto con la realtà, alterando il concetto stesso di esperienza. Se passa l’idea di poter commettere un danno senza pagare il prezzo del risarcimento, come l’industria e il costume dei social fanno supporre, le conseguenze in un ragazzo possono essere devastanti. In realtà ogni adolescente lascia aperta una porticina di accesso al suo mondo interiore: sta a noi individuarla; per farlo è necessario essere stabili emotivamente, purtroppo non tutti gli adulti lo sono. I segnali che un quindicenne in difficoltà trasmette all’esterno vanno decifrati.
Perché le fragilità degli adolescenti spesso si trasformano in aggressività?
È come una richiesta di aiuto. Un grido oscuro, disarticolato, per farsi riconoscere, dopo non esserlo stati. Nel giudizio dobbiamo sempre distinguere la dimensione giuridica, che inchioda ognuno di noi alle proprie responsabilità, da quella antropologica: per comprendere le cause profonde di un gesto criminale a volte bisogna attraversare più generazioni. Spesso i giovani sono la punta di un gigantesco iceberg che li trascende.
In questi comportamenti quanto incidono le lacune educative e le assenze di famiglia e scuola, quanto i condizionamenti di una società sempre più contraddittoria?
Incidono molto ma esiste anche un nucleo insondabile destinato a restare misterioso, quasi inaccessibile. Noi dobbiamo fare in modo di prevenire il comportamento criminoso ma quando questo avviene, non possiamo chiamarci fuori. Il giovane omicida è solo in fondo al pozzo: sono questi gli adolescenti che in realtà hanno più bisogno del nostro aiuto. C’è tutto un lavoro da fare con i reprobi: è lì che misuriamo il grado della civiltà che abbiamo raggiunto.
Esiste un antidoto alla violenza?
Abbiamo bisogno di adulti che siano in grado di testimoniare agli occhi dei giovani esempi di scelte incarnate: ogni nostro errore, o inadempienza, o incompiutezza, è destinato a ricadere su di loro.