Quello strano connubio. La musica talvolta è sopravvissuta ai film di cui avrebbe dovuto fare solo da commento
Ennio Morricone è riuscito nell’impresa di far rimanere le sue musiche nella memoria individuale e collettiva, ma non soltanto lui...
Era stato uno dei pochissimi a capovolgere i ruoli, o, se mai, a rimetterli in equilibrio. Il maestro Ennio è riuscito nell’impresa di far rimanere le sue musiche nella memoria individuale e collettiva più di quanto abbiano fatto i film cui quelle musiche avrebbero dovuto fare da “sostegno”. Ne abbiamo già parlato, ma il fischio di “Per un pugno di dollari” è rimasto un tòpos, come direbbero i Greci, un modello, e loro di modelli se ne intendevano. Ma per lasciare alla sua pace il Maestro, come non riandare a “West side story”, dieci oscar 1961 sul groppone, e a canzoni, come “America”, “Tonight”, “Maria”, firmate da un altro maestro del connubio musica-immagine, Leonard Bernstein? Una rilettura di Giulietta e Romeo a New York alla fine dei Cinquanta che ha preceduto di sette anni la rivisitazione di Zeffirelli, che, neanche a dirlo, è rimasta nel nostro oggi anche grazie alle musiche di Nino Rota. E pochi sanno che le parole di “Ai giochi addio”, riportata poi al successo dalla potente voce di Luciano Pavarotti, sono di una delle più gradi scrittrici del Novecento: Elsa Morante. E però “West side story” era un film dichiaratamente musicale, come anche “La febbre del sabato sera”, che, diciamolo, ha purtroppo cancellato gli autentici Bee Gees, quelli di “I started a joke”e di “Trafalgar”, che rimarranno nella vera storia della canzone. Come anche un altro modello assoluto, “Jesus Christ superstar”, anch’esso opera dichiaratamente musicale e quindi qui fuori concorso.
Per limitarci al cinema-cinema, un film come “Il laureato” (1967) di Mike Nichols, rimarrà nella storia della pellicola anche grazie a quel “The sound of silence” di Simon e Garfunkel (scritto 4 anni prima) destinato a rappresentare il manifesto della crisi del modello fondato sul benessere materiale, con quelle stupende parole finali: “Le parole dei profeti sono scritte sulle pareti delle metropolitane e negli atri dei caseggiati”. Anche “Un uomo da marciapiede” (1969) non scherza in fatto di longevità musicale, con quel “Everybody’s talking” cantato da Harry Nilsson, divenuto l’inno delle anime viaggianti che tentavano di riscoprire l’America del cuore e non dei soldi. La musica come miracolo, perché è riuscita a consegnare alla memoria l’immagine di un’attrice-simbolo dei Sessanta, Audrey Hepburn, che intona, accompagnandosi con la chitarra, il sempreverde “Moon river”, altro inno dei cuori in tempesta, in “Colazione da Tiffany”. Ma anche la colonna sonora del “Dottor Zivago”, con il suo Tema di Lara, è stata canticchiata per parecchi anni da tutti noi. E, a proposito di longevità, sarà il caso di ricordare come “Dolce sentire” di Riz Ortolani, soundtrack di “Fratello sole, sorella luna” (1971), ancora una volta di Zeffirelli, sia diventata una icona sonora in tutto il mondo, al di là della professione di fede. Anche Burt Bacharach ha avuto il suo riconoscimento con quel “Raindrops keep fallin’ on my head” commento musicale sempreverde di “Butch Cassidy”.
Ma pure se andiamo indietro di parecchio, il 1939 di “Il mago di Oz”, troviamo una canzone per tutte le stagioni, ancora oggi citatissima: “Over the rainbow”. E terminiamo questa retrospettiva con un ricordo tutto italiano: la colonna sonora di un film un po’ trascurato, “La vittima designata” (1971) di Maurizio Lucidi, accompagnato da quel “Concerto grosso” di Bachalov interpretato dai New Trolls che ancora oggi è ritenuto un capolavoro del cosiddetto rock sinfonico.
Ce ne sarebbero moltissime altre di testimonianze di come la musica abbia sostenuto e talvolta scavalcato la pellicola, ma solo da questi pochi esempi si sarà capito di quanto sia stretto – e paradossale – il connubio tra le due arti.