Quell’invisibile “qualcosa”. La voce delle tragedie nel tempo delle ferie
C’è “qualcosa” di invisibile che non è di tutti raccontare. Questo “qualcosa” che va oltre si chiama “spiritualità”, si chiama “preghiera”.
Neppure le notizie tristi vanno in ferie, arrivano nei luoghi della villeggiatura nel tempo in cui si vorrebbe staccare la spina: la morte di una bimba abbandonata dalla madre, un nigeriano assassinato in una via della città nell’indifferenza dei passanti, un quindicenne che nell’ombra del padre uccide la madre, il numero delle vittime della guerra in Ucraina che sale, le navi cariche di grano bloccate nei porti del Mar Nero, la fuga di altri disperati attraverso il Mediterraneo, quattro bimbi strappati ai loro genitori dall’alluvione nel Kentucky, le catastrofi provocate dagli incendi, il prolungarsi della pandemia, una politica malata…
Certo, ci sono anche notizie che raccontano fatti di speranza e di solidarietà ma non attenuano lo sconcerto e il turbamento. C’è un’inquietudine che suscita domande sul senso della vita e sul futuro dell’uomo. Non basta una passeggiata tra il verde o una nuotata in acque limpide per allontanarle. Si possono rinviare ma non cancellare, prima o poi tornano non per sconquassare un meritato riposo ma per non lasciarlo in balìa di illusioni o di vane speranze.
I commenti degli esperti e degli opinionisti riempiono giornali e talk show. Hanno il loro valore anche se lasciano incomplete le risposte alle domande più profonde, si fermano ai confini del visibile.
Le tragedie dicono però che c’è “qualcosa” che va oltre le analisi, le valutazioni sociologiche e culturali, oltre le letture e le azioni politiche. C’è “qualcosa” di invisibile che non è di tutti raccontare.
Questo “qualcosa” che va oltre si chiama “spiritualità”, si chiama “preghiera”. Si chiama impegnativo “incontro con l’Altro”.
Non è facile parlarne ma se la cronaca si soffermasse sui luoghi della preghiera e del silenzio, se li raccontasse con il suo linguaggio, aiuterebbe l’opinione pubblica a comprendere il senso della storia, aiuterebbe l’umanità a ritrovare la direzione del cammino.
Difficile anche dire che il “qualcosa” di invisibile, che senza sottovalutarle va oltre le analisi e le valutazioni, non è fuga dal mondo, non è rinuncia alla responsabilità, non è astenersi dall’impegno: è un talento da portare alla luce e mettere a frutto per il bene di tutti.
C’è una storia che dice della sua efficacia, una storia che a volte sfugge alla stessa comunità cristiana chiamata sempre a scavare nel proprio terreno. Così a questa comunità si rivolgeva Alberto Monticone, parlamentare, intellettuale, presidente dell’Ac: “non seppellisca questo talento ma lo commerci con la sua stessa vita e ne diverrà più ricca anche sul piano della evangelizzazione della società civile”.