Nigeriano aggredito a morte a Civitanova Marche. Don Albanesi: “Ucciso da una rabbia ancestrale e trattato peggio di un animale”
Per il presidente della Comunità di Capodarco quanto accaduto ieri dimostra che “fino a che lo straniero è funzionale ai nostri interessi bene, quando esce da questo recinto ecco subito scatenarsi un accanimento violento contro chi potrebbe sottrarci qualcosa”
“L’uomo che è stato ucciso era uno straniero di colore, chiedeva l’elemosina ed era disabile. Una persona, azzardo a dire, che agli occhi di un certo mondo, probabilmente non aveva i requisiti del rispetto e della dignità. E l’uomo che lo ha ucciso forse si è sentito in obbligo, in dovere non so, di punirlo, fino a ucciderlo. Una cosa bestiale”. È il commento di don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco a quanto accaduto ieri a Civitanova Marche dove Alika Ogorchukwu, cittadino nigeriano di 39 anni, è stato preso a bastonate fino alla morte da un italiano di 32 anni originario di Salerno, reo, sembra, di aver fatto apprezzamenti su una donna.
“Il 39enne nigeriano è stato
trattato peggio di un animale
e questo naturalmente la dice lunga sulla mancanza di umanità. Al di là di quanto che è successo, infatti,
il sentirsi autorizzati a colpire fino ad uccidere, da una parte mette in luce la presenza, in alcune persone, di una rabbia ancestrale, una forma primitiva incontrollabile, dall’altra rende evidente un’assoluta mancanza di relazione con chi è diverso da noi.
Probabilmente questo signore, tenendo conto di tutte queste componenti, alla fine si è sentito libero di ammazzarlo”.
Certo non è facile a volte intervenire in situazioni di questo tipo ma come commentare i cittadini che, forse presi dalla paura, si sentono più registi con i loro telefonini, che responsabili e parte viva di quanto sta accedendo?
La nostra società ha concentrato su di sé il proprio interesse e la propria attenzione e quindi il pensiero del “chi me lo fa fare” è divenuto ancora più forte, più pressante. È l’esplosione dell’io che preferisce rimanere spettatore di qualcosa salvo però quando gli eventi ci toccano personalmente. In quel caso la musica cambia, ci si lamenta dell’indifferenza e del perché nessuno sia intervenuto. Aprire il telefonino e riprendere un fatto, nel bene e nel male, fa perdere il contenuto del fatto stesso e tutte le sue ricadute. Voglio dire che attraverso la ripresa del telefono si ripete questa supremazia di sé, che si incarna nella ripresa in diretta, nell’essere in possesso dell’immagine, e allora non sono più un semplice testimone ma il protagonista, almeno nel web, di quanto accaduto. E tutto questo altro non è che una ricerca di sé stessi.
L’Italia in genere, è sempre stata terra accogliente. Oggi sembra che la paura abbia preso il sopravvento e alla mancanza di accoglienza si unisce il rifiuto di conoscere l’altro, in questo caso il migrante …
Bisogna essere attenti… lo straniero fino a che raccoglie pomodori, magari in condizioni disumane, o accudisce i nostri vecchi non genera problemi. Più vado avanti e più mi sembra di assistere ad una sorta di “aggressività interessata”. In altre parole
fino a che lo straniero è funzionale ai nostri interessi bene, quando esce da questo recinto ecco subito scatenarsi un accanimento violento contro chi potrebbe sottrarci qualcosa.
Voglio dire che se prima c’era la paura a guidare i sentimenti ora c’è solo l’interesse: se l’immigrato risponde e bene alle mie richieste le cose filano, in caso contrario è tutto da rivedere. Ripeto, mi sembra si stia seguendo questa direttiva: essere funzionale al nostro interesse.