Nel limbo dei Cpr, dove il diritto dei migranti è sospeso e i privati fanno affari
In tutto sono 10 i Centri per il rimpatrio attualmente in funzione. La media della spesa è di 40 mila euro al giorno per 400 persone. La gestione è in mano a grandi gruppi, i servizi sempre più carenti. Lo dice il rapporto “Buchi neri”, realizzato da Cild
Strutture di trattenimento in cui il diritto resta sospeso, “involucri vuoti”, come li ha definiti il Garante delle persone private della libertà, Mauro Palma, in cui le persone perdono la propria identità per essere ridotte a corpi da trattenere. Ma anche un affare estremamente remunerativo, da 40 mila euro al giorno, su cui hanno messo gli occhi i grandi capitali. E’ la fotografia dei Cpr italiani contenuta nel rapporto “Buchi neri, la detenzione senza reato dei Centri di permanenza per i rimpatri”, realizzato da Cild.
In tutto sono dieci i Centri per il rimpatrio attualmente in funzione in tutta Italia (Milano, Torino, Gradisca d’Isonzo, Roma-Ponte Galeria, Palazzo San Gervasio, Macomer, Brindisi-Restinco, Bari-Palese, Trapani-Milo, Caltanissetta-Pian del Lago), con una capienza di circa 1100 posti. Ma nel corso degli ultimi due anni di pandemia il numero si è assestato sulle 400 persone (erano 425 il 12 marzo del 2020, sono scesi a 195 nel mese di maggio per poi risalire in estate a 455). Il blocco della mobilità internazionale, e l’impossibilità di effettuare rimpatri, ha reso la misura illegittima durante l’emergenza sanitaria. Alcuni Tribunali, come Roma e Trieste, non hanno convalidato i trattenimenti proprio per l’impossibilità di rimandare le persone nel proprio paese.
Il business dei centri per i rimpatri
“All’interno di questo sistema di trattenimento si registra, da un lato, una continua spinta alla minimizzazione dei costi da parte dello Stato e, dall’altro, la ricerca della massimizzazione del profitto da parte delle imprese e cooperative cui vengono assegnati gli appalti. Nel mezzo vi sono centinaia di persone trattenute in delle strutture che non rispettano, in molti casi, neanche gli standard dettati dal Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura” si legge nel rapporto. Stando ai dati sui costi, infatti, nel periodo 2018-2021, sono stati spesi ben 44 milioni di euro (nello specifico 43.964.512,00 euro, esclusa l’iva) per la gestione da parte di soggetti privati di 10 strutture, cui vanno sommati i costi relativi alla manutenzione delle stesse e al personale di polizia. Una media giornaliera, dunque di 40.150 euro per detenere mediamente meno di 400 persone al giorno che, “nel 50% dei casi, verranno private della propria libertà senza alcuna possibilità di essere realmente rimpatriate nel proprio Paese d’origine”. Per questo, secondo Cild, “la detenzione amministrativa è divenuta, insomma, una 'filiera molto remunerativa', i cui costi sono sostenuti da tutta la società attraverso la leva fiscale.
Negli ultimi anni, infatti, alle cooperative sociali che si occupano della gestione delle strutture, si sono progressivamente affiancate delle vere e proprie multinazionali, che in tutta Europa gestiscono Centri di trattenimento o servizi all’interno di istituti penitenziari. Tra questi c’è Gepsa Italia, che dal 2015 gestisce il Centro di Torino. La società è legata a una multinazionale francese, operante in diversi settori, che nel 2020 ha vantato un fatturato di quasi 60 miliardi e che gestisce i servizi ausiliari in ben 22 strutture penitenziarie francesi. In Italia, Gepsa si è specializzata in accoglienza dei migranti e gestione dei Centri di trattenimento, aggiudicandosi negli ultimi 10 anni numerosi appalti. C’è poi Ors Italia, che dal 2020 gestisce il Cpr di Macomer. Il Gruppo ha sede a Zurigo e gestisce centri di accoglienza e di trattenimento dei migranti in 4 Paesi europei: Svizzera, Germania, Austria e Italia. Nel 2015, Ors è stata oggetto di un Rapporto di Amnesty International che ha denunciato le condizioni inumane di accoglienza dei migranti nel Centro austriaco di Traiskirchen.
“Oltre a ciò, bisogna sottolineare come alcune cooperative sociali che si occupano della gestione dei Cpr sono state o siano attualmente oggetto di importanti inchieste giudiziarie riguardanti proprio la mala-gestione di tali strutture e/o di Centri di accoglienza (es. la cooperativa Edeco -divenuta nel 2021 Ekene- che è ente gestore del CPR di Gradisca e la cooperativa Badia Grande che gestisce il CPR di Bari e, fino a poco tempo fa, anche quello di Trapani)” si legge nel rapporto. Infine Cild rileva come la gestione dei Cpr sia affidata con gare d’appalto che seguono il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa. “Si registrano dei casi in cui, in attesa dell’aggiudicazione delle gare d’appalto, la gestione straordinaria dei Centri viene affidata tramite una procedura negoziata - continua il rapporto -. Emblematico a riguardo è la struttura di Palazzo San Gervasio, attivata ad inizio 2018 con una procedura negoziata e nonostante non fossero terminati i lavori di ristrutturazione, con un’urgenza nell’apertura che è stata giustificata dalla necessità di rimpatriare i cittadini tunisini che, in quel periodo, stavano giungendo sulle nostre coste.
La carenza dei servizi e la violazione dei diritti
Il report di Cild analizza in modo dettagliato anche la carenza di servizi all’interno dei Centri. Una mancanza legata anche all’esigenza di minimizzare i costi di gestione, come disposto dal capitolato d’appalto del ministero dell’Interno nel 2018. Si è, così, registrato un drastico calo di tutti i servizi destinati alla persona, con la riduzione del monte ore del personale dipendente degli enti gestori dei centri: dagli operatori diurni e notturni; passando per i servizi di informazione normativa e mediazione, fino allo stesso personale sanitario. Il drastico calo di tutti i servizi destinati alla persona ha comportato delle gravi criticità in ordine all’effettiva tutela dei diritti fondamentali dei trattenuti.
Il monitoraggio di Cild denuncia anche il ritardo dell’attivazione del piano di vaccinazione all’interno dei Cpr, a fronte di casi di positività riscontrata all’interno di alcuni centri.
Tra i casi più eclatanti c’è poi il trattenimento di 19 minori non accompagnati nel Cpr di Ponte Galeria, a Roma, solo nel 2020. Un trattenimento del tutto illegittimo e “contro ogni legge”. Un altro aspetto critico è quello che riguarda i cittadini tunisini, che sono circa il 60 per cento di tutti i trattenuti nel centri per il rimpatrio nel 2020 e nei primi mesi del 2021. “La celerità con cui vengono effettuati i loro rimpatri ha comportato gravi violazioni dei diritti - spiega il rapporto -. Dalla violazione del diritto ad essere informati sulla possibilità di chiedere asilo; dalla prassi della mancata formalizzazione della domanda, di protezione internazionale fino ad arrivare alle poche garanzie offerte ai richiedenti asilo tunisini sottoposti a procedura accelerata che comporta una significativa contrazione del diritto di difesa”.
Infine, il report ricorda che solo nel 2020 ci sono stati 6 morti (Mousa Balde, E.H., Houssain Faisal, Aymen Mekni, Vakhtang Enukidze, Orgest Turia) all’interno dei centri per il rimpatrio “un numero mai così elevato. Le specifiche vicende sono diverse per cause e circostanze: ad accomunarle, spesso, vi è la poca chiarezza rispetto a ciò che è accaduto”.