Il nostro Paese di fronte all'Europa. A che gioco giochiamo?
L’Italia è scesa fino al grado di fiducia che il mondo finanziario (e politico) ha della Grecia. Sono state fatte delle scelte che hanno spinto il nostro Paese in una precisa direzione.
Facciamo quest’esempio: l’Europa comunitaria ci sta contestando il fatto che, con la montagna di debiti che abbiamo sulle spalle, ne abbiamo fatti altri (e ne faremo) non per acquistare l’auto al figlio, mezzo con il quale questi andrà a lavorare e quindi aumenterà il reddito suo e della sua famiglia. Ma l’abbiamo acquistata affinché se ne vada fuori il sabato sera a divertirsi, da disoccupato. Insomma, nuovi debiti non per investimenti ma per regalìe varie, per quanto giustificate da più o meno buoni intenti.
Diciamo un po’ come la Grecia di qualche anno fa, che accumulava debiti su debiti per regalare pensioni, posti di lavoro pubblici, esenzioni fiscali. Ad un certo punto non sapeva più come ripagarli e non trovava più chi le concedesse altri soldi. Da qui la crisi con due possibili soluzioni: lasciarla andare alla deriva (via dall’euro e magari via dall’Europa) o metterla in castigo? Di soluzioni ce n’erano altre, intermedie. Ma la mancanza di fiducia verso la classe politica greca (e gli elettori che la votavano) portò alla scelta di una delle due drastiche soluzioni: castigo.
Sappiamo com’è andata; comunque ora la Grecia ha recuperato il suo futuro e si è rimessa in carreggiata tanto che il grado di fiducia che ha è al livello italiano.
Ora l’Italia è scesa fino al grado di fiducia che il mondo finanziario (e politico) ha della Grecia. Sono state volutamente fatte delle scelte che hanno spinto il nostro Paese in una precisa direzione: stare ai margini politici e monetari dell’Europa unita. Anche qui, i motivi sembrano essere due, non coincidenti. O si vuole mettersi in una posizione tale da non subire passivamente scelte prese altrove su di noi, confidando in fondo sul fatto che l’Italia sia “troppo grossa per fallire” e la sua caduta trascinerebbe molti o tutti. O l’obiettivo vero è la duplice uscita: dall’euro, recuperando sovranità monetaria; dall’Europa, sganciandosi dalle cancellerie del Nord e muovendoci come ci pare senza alcun vincolo esterno.
Questo aut-aut si può in verità leggere come un et-et. Litigare prima per divorziare poi. Non è nemmeno occulto e sconosciuto il movente, perché le forze politiche che governano l’Italia sono dichiaratamente euroscettiche e anti-euro. Anzi, con questi cavalli di battaglia sono andate al governo. Gli è che gli italiani sono da sempre convinti che alle parole non seguano i fatti. Che si dice cento per portare a casa dieci. Che un conto è la campagna elettorale (abituati a roboanti annunci rimasti tali) e un altro è la vita di tutti i giorni.
Così, invece, siamo dentro un discorso di coerenza, di linearità. L’unica cosa che fa storcere il naso è che si vuole arrivare a certi risultati per vie traverse. Perché se si chiedesse agli italiani tramite referendum se vogliono rimanere dentro l’Ue, e/o dentro l’euro, quasi certamente esprimerebbero un parere favorevole. E allora…