Giustizia minorile, Antigone: con il decreto Caivano effetti distruttivi

Presentato questa mattina a Roma il settimo Rapporto sulla giustizia minorile e gli Istituti penali per minorenni: “Oggi per i ragazzi più sbarre e meno futuro”

Giustizia minorile, Antigone: con il decreto Caivano effetti distruttivi

“Lo diciamo con preoccupazione: sono prospettive minori quelle che oggi vediamo rispetto a due anni fa, quando pubblicammo il nostro precedente rapporto sulla giustizia minorile in Italia. Prospettive minori per il sistema, che sta rinunciando a incontrare con pienezza quei principi ispiratori sui quali è stato costruito e che hanno fatto sì che la giustizia minorile nel nostro paese divenisse un modello a livello europeo; prospettive minori per gli operatori, alcuni dei quali fanno un lavoro straordinario fuori e dentro le carceri e si ritrovano strumenti sempre più spuntati e inefficaci; e, soprattutto, prospettive minori per i ragazzi e le ragazze, che si ritrovano attorno più sbarre - fisiche e metaforiche - e meno speranze riguardo al loro futuro”. Emerge forte preoccupazione dal Settimo Rapporto di Antigone sulla giustizia minorile e gli Istituti penali per minorenni, presentato questa mattina a Roma.

I passi indietro del cosiddetto decreto Caivano: in crescita il numero dei ragazzi detenuti

Il cosiddetto Decreto Caivano ha introdotto una serie di misure che stanno avendo e continueranno ad avere effetti distruttivi sul sistema della giustizia minorile – spiegano i curatori del Rapporto – sia in termini di aumento del ricorso alla detenzione che di qualità dei percorsi di recupero per i giovani autori di delitto. L’estensione delle possibilità di applicazione dell’accompagnamento a seguito di flagranza e della custodia cautelare in carcere stravolge l’impianto del codice di procedura penale minorile del 1988 e sta già determinando un’impennata degli ingressi negli Istituti penali per minorenni (Ipm). Inoltre, mettono ancora in luce i curatori – l’aumento delle pene e la possibilità di disporre la custodia cautelare in particolare per i fatti di lieve entità legati alle sostanze continuerà a determinare un grande afflusso di giovani in carcere anche in fase cautelare. Invece di intervenire sui servizi per la tossicodipendenza e sull’educazione nelle scuole si va a inasprire una figura di reato che porterà a maggiori arresti di minori che consumano sostanze psicotrope anche leggere e sono spesso coinvolti solo occasionalmente con lo spaccio.

Punire per educare: una politica miope e dannosa

Il settimo Rapporto di Antigone sulla giustizia minorile e gli Istituti penali per minori evidenzia anche i rischi di mettere da parte una bella storia italiana di de-istituzionalizzazione dei ragazzi e delle ragazze. Una storia che ha costituito un vanto dentro l’Unione Europea. “Punire per educare” rappresenta infatti una politica perdente, secondo i curatori del Rapporto. “È illusorio, nonché socialmente dannoso, inseguire gli obiettivi ricompresi in questo slogan oggi tanto di moda nelle carceri e finanche nelle scuole – scrivono –. Uno slogan che è diventato politica attiva. La giustizia penale minorile non meritava le involuzioni normative presenti nel cosiddetto decreto legge Caivano che ci riporta qualche decennio indietro nella storia giuridica del nostro Paese. A partire dal 1988, con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, l’Italia aveva scelto un’altra via, quella dell’interesse superiore del minore”.

L’idea antipedagogica della rieducazione “forzata del minore”

Secondo il Rapporto l’introduzione del “percorso di rieducazione del minore” stravolge l’idea di valutazione individuale volta al superiore interesse del minore propria della giustizia minorile. La sua proposizione è infatti obbligatoria nei casi previsti e il rifiuto da parte del giovane o la mancata riuscita del percorso va a determinare l’impossibilità di accesso alla messa alla prova. A differenza di quest’ultima, tuttavia, il percorso di rieducazione prevede obbligatoriamente che il giovane svolga lavori socialmente utili o altre attività a titolo gratuito, impedendo così la valutazione caso per caso del magistrato rispetto a come sia meglio per lui o per lei impiegare il proprio tempo (dove lo studio ha un ruolo privilegiato data l’età dei soggetti di riferimento).

Ragazzi trattati come pacchi e la possibilità di invio al carcere degli adulti

L’introduzione della possibilità da parte del direttore dell’Ipm di promuovere il trasferimento dei giovani a un carcere per adulti cede alla facile tentazione di fornire uno strumento di pronta risoluzione del problema all’istituto che si trovi ad affrontare le un giovane detenuto di difficile gestione, cosa che naturalmente accade non di rado nel contesto penitenziario, si legge nel Rapporto. La risoluzione viene tuttavia fondata sulla neutralizzazione del problema piuttosto che sulla sua autentica presa in carico, a scapito del percorso del giovane che verrà seriamente compromesso con il passaggio al modello carcerario degli adulti. Così i ragazzi sono trattati come pacchi postali. Si tratta dei ragazzi più difficili da trattare, spesso minori stranieri non accompagnati con disturbi comportamentali, problemi di dipendenze da sostanze, psicofarmaci e/alcool, solitudine, violenze subite durante i percorsi migratori. Vengono trasferiti di continuo da Ipm a Ipm, rendendo impossibile una loro adeguata presa in carico. E al compimento del diciottesimo anno d’età alcuni direttori se ne liberano definitivamente mandandoli nel sistema degli adulti, quello che nei primi 45 giorni del 2024 ha cumulato già 20 suicidi. In particolare – precisano ancora i curatori del Rapporto – le storie dei ragazzi e delle ragazze che finiscono negli istituti penali per minorenni spiegano come i tassi di recidiva siano altissimi, soprattutto quando i ragazzi, al compimento del diciottesimo anno d’età, vengono catapultati nelle carceri per adulti interrompendo un percorso di presa in carico educativo. 

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)