Forse abbiamo bisogno più di percorsi alternativi e di recupero/sostegno che di bocciature
La bocciatura non è della persona (e neppure della famiglia), ma dell’organizzazione del tempo studio e della mancata consapevolezza e maturazione rispetto a certi obiettivi.
Giugno mette il sigillo all’anno scolastico e, in queste ultime settimane, il ritmo serrato degli impegni pare non cedere di un millimetro. Gli ultimi giorni di scuola sono difficili e stressanti per studenti e famiglie. Ad alcuni ragazzi offrono l’occasione per alzare la media dei voti e per concludere con soddisfazione un anno di lavoro proficuo e costante. Per altri rappresentano una sorta di count-down verso il baratro della bocciatura, se le insufficienze non saranno colmate in extremis.
I nodi vengono dunque al pettine, come si suol dire, e lo strumento della valutazione diventa letale. Cadono le spavalderie (o in alcuni disperati casi, paradossalmente, si acuiscono) e dietro si scopre tutta la fragilità di chi, di fronte alle prestazioni, annaspa e non riesce a costruire una solida preparazione, né a valorizzare le proprie attitudini.
Sempre animato è il dibattito intorno alla bocciatura da parte di esperti del settore e famiglie. Qualcuno la vive come conseguenza, in fondo anche giusta, di un anno speso male o disperso. Altri come pesante ingiustizia e punizione. Le famiglie, poi, non sempre riescono ad assumere una posizione educativa costruttiva di fronte a questo evento. Sull’altra sponda del fiume, invece, pedagogisti, psicologi e insegnanti si fronteggiano a colpi di fioretto sull’efficacia della misura e sulla sua coerenza all’interno di un sistema ancora pieno di falle.
A parere di psicologi e pedagogisti, la bocciatura è ormai avulsa dal sistema educativa, ma soprattutto dal contesto culturale attuale. Il rischio è che una bocciatura non fortifichi affatto, anzi amplifichi il senso di inadeguatezza e il disagio dello studente.
La valutazione è uno strumento fondamentale e le statistiche internazionali ci allarmano sul livello di preparazione dei nostri ragazzi, ma forse abbiamo bisogno più di percorsi alternativi e di recupero/sostegno che di bocciature. In questo senso potrebbe essere utile buttare un occhio ad alcuni sistemi di istruzione dei Paesi del Nord Europa, come la Finlandia, dove non si boccia. “In Finlandia pensiamo che non sia utile bocciare gli studenti, piuttosto serva aiutarli a raggiungere degli obiettivi, imparare matematica, lingua, materie scientifiche e letterarie – spiega Reijo Laukkanen, membro del Consiglio Nazionale Finlandese per l’educazione -. Chi non ce la fa, perché ha qualche difficoltà, continua a studiare un po’ di più rispetto agli altri, frequenta un anno in più se serve, ma rarissimamente viene bocciato”.
Certo non si può smontare un sistema partendo dall’ultimo segmento. La scuola avrebbe bisogno di fondi più cospicui per l’orientamento, la prevenzione della dispersione e dell’abbandono scolastico e per valorizzare le capacità dei propri studenti.
Nel frattempo come soccorrere chi a giugno leggerà il verdetto di non ammissione all’anno successivo sui quadri esposti nell’atrio dell’edificio scolastico?
Sdrammatizzare non funziona. Ripetere l’anno e allontanarsi dai propri compagni di classe non è una tragedia, ma una pesante delusione sì. No alle scene di disperazione e agli aspri rimproveri, sì alla progettazione immediata e alla ripartenza.
I genitori, soprattutto, sono chiamati a una grande prova di equilibrio. Occorre evitare di farsi prendere la mano dal senso di colpa, o di cadere nel pantano del dolore.
Serve la giusta distanza. La bocciatura non è della persona (e neppure della famiglia), ma dell’organizzazione del tempo studio e della mancata consapevolezza e maturazione rispetto a certi obiettivi.
Aiutare non è facile. Capita di valutare la possibilità di cambiare scuola e, a volte, può essere una soluzione, ma non sempre. Dipende dalle ragioni che motivano il cambiamento, cambiare potrebbe peggiorare il senso di frustrazione dello studente.
Soprattutto importa “esserci”, tendere la mano e, con un occhio al futuro, suggerire: “Il prossimo anno potresti fare…”.
Silvia Rossetti