Fede e sregolatezza. Suor Angela, fra' Gereon e don Carl, vittime della furia nazista
Vittime per la loro “sregolatezza” in nome della fede in Cristo. Lo ha ricordato lunedì scorso, 11 novembre, il vescovo di Innsbruck Hermann Glettler
Sorride Angela. Come quando le hanno detto di mettersi in posa per le foto segnaletiche. Guarda dritto nell’obiettivo, Angela, e sorride. Sa che difficilmente riuscirà a lasciare quella divisa a strisce che il 29 agosto 1940 le hanno ordinato di indossare al posto dell’abito che neanche due anni prima, il 28 settembre 1938, aveva promesso di tenere tutta la vita. Sorride Angela. Perché sa che l’abito non fa il monaco, o la monaca, come nel suo caso. Perché lei è suora, con o senza abito, con il velo o con i capelli raccolti.
È il 26 marzo 1900 quando a Röllecken, piccola frazione della città di Attendorn in Germania, nasce Maria Cecilia Autsch. Passa poco tempo che la famiglia si trasferisce a Bamenhol, dove la piccola completa gli studi elementari. Sono anni complicati, spirano venti di guerra e, per problemi economici, nell’aprile del 1915 Maria va a lavorare come collaboratrice domestica a Finnentrop e, successivamente, come impiegata in un negozio di abbigliamento. Ha 21 anni quando muore sua mamma e lei si trasferisce a casa del fratello, a Heinsberg, dove lo aiuta con il negozio che aveva aperto da poco.
Nel 1933 varca la soglia del monastero delle suore della Ss.ma Trinità a Mötz, in Tirolo. Il 20 agosto 1934 emette la professione temporanea e, il 28 settembre 1938, quella solenne, prendendo il nome di sr. Angela Maria del Cuore di Gesù. Tanti sono gli incarichi che le vengono affidati e che lei svolge con dedizione e senso pratico: dall’insegnamento nell’asilo alla direzione di corsi di ricamo, dall’assistenza ai malati all’aiuto nei lavori agricoli. Diviene anche economa e braccio destro della superiora. Pochi mesi prima della sua professione solenne, l’Austria era stata annessa al Terzo Reich. Gli interventi antireligiosi delle autorità naziste in territorio austriaco si facevano sempre più incalzanti. Sr. Angela fa di tutto per preservare il monastero della sua Congregazione dalla confisca dalla parte dei nazisti, non facendo mai mistero della sua opposizione al regime, al punto da fare un pubblico apprezzamento negativo su Hitler. Una “sregolatezza” che la Gestapo coglie al volo, arrestandola il 12 agosto 1940 e rinchiudendola nel carcere di Innsbruck. Qualche giorno più tardi, il 29 agosto, senza alcun processo viene fatta internare nel campo di concentramento di Ravensbrück, con la fascia rossa dei prigionieri politici. Il 16 marzo 1942 viene trasferita ad Auschwitz, nella sezione di Birkenau, destinata al compito di aiuto cuoca e di infermiera delle SS.
Varcando il cancello del campo di concentramento, sr. Angela non sapeva per quanto, ma sapeva che quello sarebbe stato il suo nuovo monastero. E nonostante la divisa a strisce, le vessazioni, la fame e le umiliazioni, ha continuato a essere una monaca, prodigandosi nell’aiutare i compagni di prigionia, donando una parola di conforto e un sorriso a tutti, senza distinzione di razza, religione o ideologia politica. Due i capisaldi delle sue giornate: pregare e fare del bene, commettendo anche qualche “sregolatezza” e contravvenendo al rigido regolamento del lager. Far del bene a tutti, anche ai suoi aguzzini, di cui si prendeva cura nell’infermeria del campo. Fino al 23 dicembre 1944, quando il cuore dell’”Angelo di Auschwitz” smette di battere in seguito ad un bombardamento da parte degli alleati. Un mese più tardi Auschwitz sarebbe stata liberata.
Terzo di sette figli, Gereon Josef Ausserlechner, nasce il 4 settembre 1904 a Kartisch, in Tirolo. La prima guerra mondiale gli strappa via il padre. È appena un adolescente Gereon, ma da quel giorno si schiera contro la guerra e i sistemi totalitari. Completati gli studi lavora nell’azienda agricola dei genitori prima, e poi in una fattoria nella vicina Sesto Pusteria, in Alto Adige. Nel 1927 perde anche la madre e torna ad occuparsi dell’azienda di famiglia, ma ben presto passa la mano ai fratelli e decide di entrare nel monastero premostratense di Wilten, dove prende i voti il 22 maggio 1932 e dove si occupa del refettorio e di tenere in ordine il giardino del convento. In seguito all’annessione dell’Austria a Terzo Reich, il monastero viene sciolto ed espropriato. Fr. Gereon si vede costretto a tornare a Kartisch, dove trova lavoro in una locanda del paese. Pacifista dichiarato e fermo oppositore del nazismo, quando gli viene chiesto di entrare nel “Servizio del lavoro” del Reich, fr. Gereon si rifiuta categoricamente, attirandosi anche il dileggio dei suoi compaesani. Una “sregolatezza”, quella commessa dal monaco austriaco, che non passa inosservata alla Gestapo, che il 3 marzo 1943 si presenta a Kartisch e lo arresta. Viene deportato nel campo di concentramento di Dachau. Sul suo braccio viene tatuato il numero 44.970. Ufficialmente risulta che sia morto in un raid aereo il 13 giugno 1944, ma un compagno di prigionia ha testimoniato che il giorno prima di morire fr. Gereon era stato trascinato giù per una rampa di scale sulla schiena da un uomo delle SS, che gli aveva poi lanciato addosso i cani da guardia.
Nato a Göfis, nel Vorarlberg (Austria) il 9 gennaio 1894, ultimo di sette figli, Carl Lamprecht aveva scelto fin da giovane di abbracciare la vocazione religiosa. Studia teologia nel Seminario maggiore di Bressanone e sempre a Bressanone viene ordinato sacerdote il 12 maggio 1918 dall’allora principe vescovo Granz Egger. Terminati gli studi viene mandato a Roma dove studia diritto canonico. Nel 1935 gli viene assegnato l’incarico di officiale del tribunale diocesano di Innsbruck e, successivamente, quello di provicario (il corrispondente dell’attuale vicario generale) di Paulus Rusch, nominato amministratore apostolico del territorio di Innsbruck-Feldkirch nel 1938. È proprio nella veste di provicario che Lampert si oppone coraggiosamente alle ingerenze della locale gerarchia nazista. Ogni sua “sregolatezza” viene punita dalla Gestapo con un arresto. Ma la “sregolatezza” più grande commessa da Carl Lampert è il necrologio scritto per Otto Neururer, in cui prende le difese del sacerdote austriaco ucciso il 30 maggio 1940 nel campo di concentramento di Buchenwald. Il 5 luglio 1940 viene richiuso nel carcere di Innsbruck con l’accusa di “violazione delle norme sulla segretezza del regime nazionalsocialista”. Il 25 agosto è internato a Dachau. Un anno più tardi viene rilasciato sotto sorveglianza di un informatore incaricato di raccogliere materiale contro di lui. Il verbale di quest’uomo della Gestapo, infarcito di falsità, segna la condanna a morte di Carl Lampert, che viene decapitato a Halle an der Saale il 13 novembre 1944.
“Queste tre persone furono vittime, 80 anni fa, della mania di sterminio della dittatura nazista a causa delle loro convinzioni religiose e del loro comportamento dissidente”. Vittime per la loro “sregolatezza” in nome della fede in Cristo. Lo ha ricordato lunedì scorso, 11 novembre, il vescovo di Innsbruck Hermann Glettler, in occasione di una celebrazione commemorativa, che si è tenuta nella chiesa di S. Maria Ausiliatrice a Innsbruck, la chiesa in cui il beato Carl Lampert aveva svolto servizio pastorale. “In mezzo ad un numero impressionate di seguaci e complici – scrive il vescovo Glettler sulla sua pagina Ig – la loro resistenza è stata allora di estrema importanza. E lo è anche oggi. Siamo obbligati a ricordare tutte quelle persone che si sono opposte alla crudele tirannia, anche quando sono diventate esse stesse vittime. La loro fede e la loro resilienza ci sollevano ancora oggi. Sono testimoni di speranza”.