Circondarsi di vera bellezza. Le parole del pontefice a Papua Nuova Guinea ci aiutano a riscoprire l’essenza della vita
Il Vangelo affascina i grandi e i piccoli proprio per questa rivoluzionaria visione della forma come parte di un tutto non solo materia
La “bellezza del Vangelo di Cristo” di cui ha parlato papa Francesco a Papua Nuova Guinea ha riaperto una questione che ha attraversato la cultura di tutti i tempi: il concetto di bellezza. I canoni neo-estetizzanti sembrano prevalere ai nostri giorni, basati soprattutto su due elementi chissà quanto consapevoli. Il primo è il riaffacciarsi ciclico del concetto di cogliere l’attimo, reso celebre non solo dal “carpe diem” di Orazio, ma anche dai suoi ritorni, come nel caso dell’invito di Lorenzo il Magnifico a non rimandare ad un domani di cui “non c’è certezza” il soddisfacimento del desiderio.
Il secondo è la nuova visione del mondo che il cristianesimo ha portato in un impero in cui in quella che chiameremmo oggi borghesia del benessere, stava diffondendosi la stanchezza del nulla, della noia, esemplata nel Satyricon attribuito a Petronio Arbitro.
La nuova concezione della vita dei cristiani portava con sé un elemento rivoluzionario, che non solo contrastava i canoni classici di bella forma, ma ne proponeva scandalosamente altri, radicalmente opposti.
Pur sempre però una nuova bellezza, fondata su un amore verso il prossimo e non più solo verso se stessi con la cura del benessere. I benestanti romani, ma anche il popolo, all’inizio facevano fatica a capire come alcuni avessero dismesso gli abiti alla moda, venduti i loro beni mettendo a disposizione dei fratelli il ricavo e aiutando i miseri e i nullatenenti.
Solo la visione umana di una nuova e radicalmente diversa bellezza poteva supportare questa rinuncia e questo darsi al prossimo, questa nuova testimonianza che porterà molti di loro al martirio. Non più i canoni della bella forma, ma la condivisione, la grazia del camminare insieme, di tornare all’essenza.
Il lento affermarsi del cristianesimo non basterebbe a spiegare come questa nuova visione del bello sia divenuta arte anche al di là del dogma. Non solo Michelangelo, ma anche il Botticelli che alla fine del suo percorso lascia alla storia dell’arte una Natività Mistica in cui l’icona lentamente torna a riprendersi il suo antico spazio, sacrificando la bella forma all’essenza e alla fine dei “trucchi” prospettici. In poche parole una bellezza senza tempo.
Il Vangelo affascina i grandi e i piccoli proprio per questa rivoluzionaria visione della forma come parte di un tutto non solo materia.
Il Pontefice ha approfondito questo concetto parlando della bellezza dei luoghi toccati nel suo viaggio, perché coloro che lo hanno accolto ne sono circondati. Ed ha evocato l’archetipo di ogni cosa all’interno del mistero della fede: l’Eden. Non è un caso che Dante, alla fine del suo viaggio nel Purgatorio, incontri l’incarnazione della nuova bellezza, la misteriosa Matelda, proprio nel Giardino.
Nella letteratura, l’antica, inconsapevole fascinazione del giardino perduto (e in fondo il desiderio struggente del ritorno, come la stessa etimologia del termine nostalgia ci suggerisce) si è sempre affacciata: fin da titolo nel “Giardino dei Finzi-Contini” di Bassani, in cui una nuova Matelda, Micol, salva paradossalmente il suo innamorato con la cacciata dal paradiso terreste del suo giardino, ma anche in “Sotto il Vulcano”, di Malcolm Lowry, in cui il cammino autodistruttivo del protagonista avviene in un Eden incontaminato e, come lo stesso scrittore ebbe a dire, in una sorta di Divina Commedia rovesciata.
Ed è anche per questo che molti se ne sono andati via dai grattacieli o dalle città affollate di divertimenti e vizi. Per cercare i luoghi edenici, richiamo ad un tempo in cui l’uomo viveva in comunione con la natura.
E anche questo è divenuto un nuovo canone di bellezza anti-estetizzante che paradossalmente ha informato di sé la stanca cultura d’occidente.