Caritas Padova al momento del rinnovo. In ogni comunità vi sia una "Pastorale della Carità"
Pastorale della carità. Da sempre Caritas punta alla cura della persona e a farlo coinvolgendo tutta la comunità. Grazie alla nuova iniziazione cristiana quello che sembrava un sogno può finalmente realizzarsi. "L'importante è che ovunque ci sia una pastorale della carità. Se poi si trasforma in Caritas è secondario".
Impegnarsi nella carità è sempre più importante. Educare le comunità alla carità, forse, sarà ancora più cruciale per la Chiesa dei prossimi decenni, specie in questo contesto sociale, civile ed economico. Per qualcuno può essere inteso come vera e propria rivoluzione il progetto che la Caritas diocesana di Padova sta portando avanti in questi mesi, incontrando senza sosta, nei vicariati, i vicari foranei, i coordinatori dei centri d’ascolto e quelli delle Caritas parrocchiali.
Il primo obiettivo – il rinnovo della figura del coordinatore delle Caritas parrocchiali – può sembrare, all’apparenza, una scelta solo formale, ma nasconde un desiderio a lungo termine sempre più sentito e quanto mai urgente: «Stiamo lavorando sempre di più – spiega il direttore di Caritas Padova don Luca Facco – perché in ogni comunità cristiana, anche la più piccola, anche quella che non ha più un parroco residente, vi siano almeno una o due persone che tengano viva una “pastorale della carità”, che può costituirsi o meno in Caritas, questo è secondario. Ciò che conta è che questa “pastorale della carità” esista».
Ogni parola ha un suo significato. E il termine “pastorale”, associato a carità, è tutto fuorché casuale: «Per pastorale della carità intendiamo l’azione di persone che vogliano intuire, cogliere e leggere quali siano le povertà presenti nella parrocchia. Vi sono sì le povertà economiche, ma ci sono anche le povertà relazionali e tante altre forme di povertà che sfuggono ai radar». L’esempio più classico – e purtroppo anche il più diffuso – è quello dell’anziano solo. «Se un anziano che vive da solo veniva sempre a messa e poi, improvvisamente, smette di partecipare, in una comunità in cui è presente una “pastorale della carità” qualcuno se ne accorge, qualcuno si interroga su cosa si possa fare per avvicinarlo e aiutarlo».
Oltre a un’attenzione presente – un “prendersi a cuore” le persone – la “pastorale della carità” ha un altro scopo: «Si può collaborare di più con i catechisti e gli animatori della liturgia, in modo che emerga come la comunità cristiana è celebrare l’amore e vivere l’amore. Se c’è un parroco residente, bene, se non c’è ci sono sempre i laici che concretamente tengono viva la capacità di celebrare e vivere l’amore».
Lorenzo Rampon, diacono di Caritas Padova, conferma: «Nei nostri incontri nei vicariati aiutiamo a rileggere ciò che c’è già e che va benissimo. La risposta concreta ai bisogni di tipo materiale, i rimborsi spesa, i vestiari, la distribuzione di generi alimentari sono tutte cose che dobbiamo conservare, segno di un’ottima attenzione che la comunità cristiana deve continuare a dare. Ma è tempo che si spalanchino gli orizzonti, che i volontari si riapproprino della capacità di animare le comunità ed educare al senso della carità. È la "Chiesa in uscita" di cui parla papa Francesco».
Il punto di partenza ideale per questo orizzonte non sono tanto le stanze dei volontari Caritas, quanto i banchi dei consigli pastorali: sono già numerosi gli incontri fatti dalla Caritas diocesana nelle parrocchie. E poi c’è il livello vicariale: «Qui ci può essere coordinamento, scambio, aiuto reciproco – elenca don Luca Facco – qui si può tenere viva la sensibilità dell’animazione delle comunità. Abbiamo individuato come possa funzionare questo coordinamento, tenuto da due persone. La prima è espressione delle Caritas parrocchiali, a rappresentare il “braccio operativo”, quello impegnato nelle attività classiche di Caritas. L’altra persona, invece, che non è detto sia appartenente a Caritas, avrà un profilo più pastorale, e dovrà coordinare, tenere i rapporti e le relazioni proprio a livello pastorale». Il continuo coordinamento delle parrocchie con il vicariato trova sponda anche con il centro d’ascolto vicariale, che sebbene possa avere più sportelli, mantiene sempre un’unità di intenti: «Ai centri d’ascolto vicariali – ricorda don Luca Facco – spetta il compito di gestire le povertà più complesse, lavorando sempre in rete con il territorio e ridistribuendo le risorse economiche in maniera più equa. I centri d’ascolto vicariali e le Caritas parrocchiali sono diversi ma complementari».
Sembra una rivoluzione, in realtà non c’è nulla di nuovo: «Abbiamo sempre desiderato tutto questo – ammette Lorenzo Rampon – ma non c’era mai la congiuntura giusta che ci aiutasse. Oggi la congiuntura c’è, e si chiama iniziazione cristiana. Con l’iniziazione cristiana le comunità stanno recuperando la visione globale della vita cristiana, c’è insomma terreno fertile». «Si può generare a una fede che sia anche carità – aggiunge don Luca Facco – e la fede che cos’è, se non l’amore di Dio verso le persone più deboli? Qui scopriamo il vero mandato di Caritas, che non è solo aiutare i poveri, ma farlo coinvolgendo la comunità».
Non è facile: «Tra le resistenze maggiori c’è “l’immaginario Caritas”. Siamo visti ancora come un ufficio, un ente che offre prestazioni e che distribuisce alimenti. Ma abbiamo visto che c’è di più». Aggiunge Rampon: «Le comunità sono oberate di cose da fare. E ogni cosa nuova viene vista come fatica, specie quando è sempre più difficile reperire volontari per ogni funzione». Ma proprio qui le cose possono cambiare cose: «Sono convinto che con questa nuova attenzione per una “pastorale della carità”, troveremo volontari nuovi. C’è una forte resistenza al volontariato tradizionale, che spesso viene percepito come “stantio”. Il volontariato di stampo relazionale, invece, è un’altra cosa. Lo abbiamo sperimentato con i centri d’ascolto vicariali: quando vengono istituiti spesso rispondono agli appelli persone pronte a mettersi in ascolto che prima non c’erano».
Bisogna allora andare controcorrente: «Una volta il senso di carità e solidarietà era diffuso. Era nel nostro dna. Oggi ci siamo resi conto che bisogna generare alle fede, non va data per scontata: allo stesso modo, in questo clima di grande divisione, bisogna ricordarci di stare vicino alle persone in nome di quel Gesù in cui crediamo».