Caregiver in ospedale, l'appello diventa corale: mai più soli
La storia di genitori costretti a dividersi anche durante i frequenti e lunghi ricoveri di figli con gravi disabilità solleva un'onda di proteste e viene rilanciata da Iacopo Melio sotto forma di appello “a chi di dovere”. La vicenda di Sara, isolata con il figlio in terapia intensiva
“Vorreiprendereiltreno si unisce all'appello di Elena con la speranza che non resti inascoltato ma che, chi di dovere, trovi al più presto una soluzione che permetta a questi genitori di avere un vero e concreto supporto”: la storia raccontata a Elena Abbate a Redattore Sociale diventa appello corale, tramite le parole di Iacopo Melio. E' una storia di pochi ma anche di tanti, perché tanti sono i caregiver che assistono 24 ore su 24 i propri figli disabili e che ora, con le nuove regole imposte dalla pandemia, sono costretti a restare soli con loro, durante i frequenti e spesso lunghi ricoveri ospedalieri, O durante visite ed esami cruciali, nelle quali “essere da soli è insostenibile”, ci raccontava Elena.
La sua storia ha suscitato solidarietà di tanti, indignazione di molti, che si sono uniti all'appello e chiedono condizioni più umane per chi sopporta con coraggio e dedizione questa fatica quotidiana. E alla sua sua voce si unisce quella di altri, che vivono una situazione simile alla sua e sanno bene cosa questo significhi. Come Lara, che racconta: “Sono stata in una situazione così l'anno scorso. Anche noi abbiamo dovuto decidere per un intervento neurochirurgo alla nostra bambina in pochi minuti: io in ospedale e mio marito a casa per telefono. Poi due interventi in pochi mesi: io da sola in stanza con lei per un mese e altri 10 giorni senza poter avere il cambio con mio marito, nemmeno un'ora al giorno, senza uscire dalla stanza. Per una bimba come la nostra, che ha subito il trauma dell'abbandono, non poter vedere il papà per tutto quel tempo è stato drammatico: andava in crisi e io con lei”.
Quei ricoveri, in cui si possono ricevere solo panni
E Sara Giuffrida, che vive a Bergamo, ci racconta di Marco, il suo bambino di sei anni e mezzo con una grave disabilità, dovuta alla sindrome di Angelman, che comporta un serio deficit cognitivo e motorio e richiede un'assistenza continua: “Durante la pandemia ha affrontato diversi ricoveri – racconta Sara a Redattore Sociale - Ci siamo trovasti in famiglia a dover fronteggiare questa situazione nuova: a causa delle restrizioni e delle procedure dovute al Covid, può presenziare un solo genitore. Nel ricovero riabilitativo a dicembre, abbiamo fatto un tampone all'ingresso in struttura: eravamo io e lui da soli, lui con la sedia a rotella, io con le valigie, per un ricovero di dieci giorni. Fatto il tampone, siamo stati in isolamento per 48 ore: entravano solo i medici per il tempo delle visite e degli esami, noi non potevamo uscire. Dopo l'esito negativo, ci è stato consentito di muoverci un po' in corridoio, ma non abbiamo mai potuto ricevere visite dall'esterno. È la prassi per tutti i ricoveri, ne abbiamo avuti anche altri durante la pandemia: una volta fatto il tampone non si esce e non si incontra nessuno. Io e e lui da soli. L'ultimo ricovero è stato a settembre, in terapia intensiva perché Marco aveva un grave deficit respiratorio. Tampone il primo giorno, poi siamo stati in isolamento per quasi due settimane. Potevo ricevere solo i panni che mio marito consegnava a un infermiere, ma io non potevo uscire dalla stanza. Anche per andare al bagno dovevo chiamare un infermiere, perché Marco non può stare solo neanche un attimo. Questa è la situazione, non solo la mia ma di tutti coloro che in questo periodo affrontano ricoveri di bambini o anche di adulti che hanno deficit cognitivi: non è prevista la possibilità di far entrare nelle strutture nessuno, per dare un sostegno che è necessario. I pasti sono a pagamento, puoi ordinarli e consumarli in stanza. Sempre soli, sempre nella stanza. E' una condizione difficile e faticosa, per la quale ci vorrebbe una maggiore comprensione e un sostegno che, finora, proprio non c'è”.