Se la gioia cristiana è condivisione si capisce come la cellula della famiglia possa esserne una fonte privilegiata
Se la gioia cristiana è condivisione si capisce come la cellula della famiglia possa esserne una fonte privilegiata.
Ma se manca la gioia? La seconda caratteristica della santità contemporanea che il Papa indica con forte convinzione è proprio la gioia e il senso dell’umorismo. Lungi dall’essere “inibito, triste, acido, malinconico […] il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza” (GE 122).
Bisogna uscire dal nostro guscio e accettare che la nostra vita cambi, allora potremo essere sempre lieti nel Signore come chiede San Paolo ai Filippesi. Dobbiamo confessare che forse il primo peccato di omissione nelle nostre case è la mancanza di gioia. Con l’alibi che la gioia non ce la possiamo dare da soli, trasciniamo spesso le nostre esistenze dimenticando cosa voglia dire sorridere. Eppure la stragrande maggioranza dei santi nella storia sono modelli anche di gioia ed umorismo.
C’è da augurarsi che presto sia fatta santa una coppia di sposi cristiani, possibilmente vicina nel tempo, perché anche tutti i coniugi abbiano un riferimento concreto a cui ispirarsi. Talvolta, infatti, la gioia di religiosi e religiose saliti agli onori degli altari, da San Vincenzo de Paoli a San Filippo Neri, sembra distante o comunque diversa da quella che può sperimentare una coppia in famiglia. L’estasi del mistico non si addice ai padri e alle madri e agli sposi in genere, eppure chi ha detto che anche il matrimonio non debba essere luogo in cui si celebra pienamente la gioia cristiana? In realtà talvolta basterebbe poco per riuscire a far prevalere un sorriso gioioso ad una preoccupazione o ad una tensione: “ci sono momenti duri, tempi di croce, ma niente può distruggere la gioia soprannaturale […] una sicurezza interiore, una serenità piena di speranza” (GE 125) e lo rappresenta bene un santo padre di famiglia quale era Tommaso Moro con la sua famosa preghiera in cui esordisce chiedendo una buona digestione.
La famiglia è luogo di gioia e di tante piccole gioie ordinarie, “non la gioia consumista e individualista così presente in alcune esperienze culturali di oggi […] piuttosto quella gioia che si vive in comunione, che si condivide e si partecipa” (GE 128). Se la gioia cristiana è condivisione si capisce come la cellula della famiglia possa esserne una fonte privilegiata.
La nascita di un figlio e poi ogni suo piccolo, grande passo nella vita: ci sono gioie facilmente paragonabili? La gioia di un abbraccio gratuito, scaturito da uno slancio spontaneo fra marito e moglie. La gioia di un pranzo domenicale in cui i volti riflettono la solarità e la distensione della festa. Si potrebbe proseguire in un elenco infinito perché la gioia spesso è nelle cose stesse e sta a noi riconoscerla e farla propria per a nostra volta donarla agli altri. Sì perché la vera gioia non può custodirsi gelosamente, va difesa e protetta dalle ombre del malumore e dell’apatia, ma non può essere rinchiusa in un vaso, va lasciata sprigionarsi come una luce che inondi tutti, va fatta correre come una benedizione che di cuore in cuore raggiunga ciascuno.
Giovanni M. Capetta