Notre-Dame, le ferite del Signore e le nostre ferite

L'incendio della cattedrale parigina è una delle tante distruzioni della Storia, che non ha riguardo né per gli edifici sacri né per quelli laici. Ma pensare alla ricostruzione non basta: per noi cristiani c'è bisogno di uno sguardo di fede che vada oltre e riconosca il valore delle ferite.

Notre-Dame, le ferite del Signore e le nostre ferite

Il mondo intero, almeno quello che noi vogliamo vedere, è rimasto sconvolto in questi giorni dal fuoco nella cattedrale parigina di Notre-Dame. Non so perché, ma ho pensato subito a Cluny, la famosa abbazia che divenne il fulcro di un rinnovamento spirituale del Medioevo, non solo in Francia, ma della quale non sono rimasti che ruderi.

Ecco, forse sono un po’ controcorrente, ma non riesco a vedere una così grande catastrofe nell’incendio di Notre-Dame, o, almeno, non mi sembra giustificato un certo atteggiamento apocalittico.
Penso invece a come la Storia si ripeta, non solo con gli edifici sacri, ma anche con quelli laici: il tempio di Gerusalemme, l’Acropoli, Palmira, il Colosseo, i Fori imperiali, i templi pagani dell’America Latina, Cluny. E ancora le abbazie e cattedrali rase a suolo durante l’impero ottomano nei Balcani, ma anche nell’Asia minore, Cappadocia, Smirne, Nicea ecc.

Camminiamo su ruderi, su civiltà scomparse e su nuove che nascono ogni secolo. Notre-Dame è stata costruita come segno di fede e di devozione alla Madonna, è sopravvissuta grazie ad un romanzo di Hugo nella Francia antireligiosa e vuole essere ricostruita come segno dell’orgoglio nazionale e culturale. Ma tutto ciò non basta. C’e bisogno di uno sguardo di fede, almeno per noi cristiani.

“Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,19).

Allora mi è sembrato, in questi giorni, che suonassero ancora potenti queste parole dette duemila anni fa in un altro contesto. Una frase sfidante per gli interlocutori di Gesù, incapaci di cogliere il senso più profondo di questa affermazione, fissati come erano alla bellezza del tempio, al suo splendore architettonico e alle belle gemme. I templi cadono, si distruggono, prendono fuoco o vengono scossi da terremoti, ne nascono nuovi o si ricostruiscono: non saranno mai più la stessa cosa. Dentro ci sarà una ferita per sempre, per quanto essa possa essere nascosta.

Per questo colgo e faccio mia la riflessione di un amico: “…un restauro che tende a ripristinare le cose subito, esattamente così come erano, significa il rifiuto della ferita, il rifiuto del dramma, il rifiuto della perdita, una sorta di onnipotenza umana che pretende di cancellare anche il crollo ripristinando tutto com’era, senza accorgersi che così costruiscono solo un falso storico. Oppure un altro tipo di ricostruzione che, mentre conserva ciò che rimane dei resti, ricostruisce il tetto come funzione, ma senza dargli uno stile preciso. Perché la ferita va integrata, va tenuta senza misconoscere il dramma della perdita, ma conservando un bene che racconti la storia per intero la storia della bellezza e la storia di una perdita, perché la vita degli uomini è così”. Così, a partire da questa riflessione, in preparazione alla Pasqua il mio pensiero è andato a quel tempio vivo e ferito che fu Gesù di Nazareth, al suo corpo: anche dopo la Risurrezione non nascose le ferite della Croce, ma se le portò in Cielo, forse per mostrarle al Padre. E poi i tanti altri templi umani dissacrati, mostruosamente abusati, che portano il nome di immigrati, bambini mai nati, donne e bambini abusati sessualmente, disabili non accettati, schiavi moderni, Stati in guerra e sotto le dittature, e tante altre miserie umane, il fuoco delle quali forse ancora non è uscito dal tetto.

E ancora mentre faccio queste riflessioni penso a delle altre ferite. A quelle dei sacerdoti. Celebro insieme ai miei sacerdoti la Messa del Crisma. Penso spesso ai sacerdoti, uno dei quali sono anche io, alle loro, alle nostre ferite, e a come siamo chiamati ad essere dei guaritori feriti, per usare un’espressione di Henry Nouwen. Ma per quanto possiamo curare dei corpi e delle storie ferite, per quanto si possa risorgere dalle ceneri situazione di miseria e peccato, bisogna sempre guardare alle ferite. Esse hanno continuamente bisogno dell’olio della consolazione e della misericordia, le uniche che portano ad una guarigione, intesa come armonia di vita, integrazione delle ferite e presentazione di esse al Padre.

Gjergj Meta

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir