Lo sguardo verso l’alto. La musica nei giorni della fragilità e dell’incertezza
Lo sguardo verso l’alto, il guardare oltre, non è perdersi nel vuoto, non è ignorare il limite, non è chiudere gli occhi sulle tragedie.
Si è detto e si è scritto molto di Ezio Bosso, un musicista e direttore d’orchestra che ha affascinato per la singolare passione per la musica, per la forza nella lotta contro il male che l’aveva colpito, per il pensiero sul limite e sull’infinito. Più volte quando l’orchestra si fermava il suo guardo, le sue mani e la sua bacchetta si levavano verso l’alto e allora nasceva una domanda: da che cosa, o da chi, veniva quel suo desiderio di “guardare oltre”, quel suo dire che la bellezza era l’altro nome della musica? Perché vedeva l’una e l’altra sopra di tutto e rimaneva in contemplazione di entrambe? Come interpretare questa visione nel tempo della sua sofferenza personale e di quella del mondo?
In quello sguardo verso l’alto più che una risposta si coglieva l’invito alla ricerca di senso, un invito lasciato in eredità a tutti, in particolari a quanti nella musica vivono un’esperienza di libertà interiore.
Significativa, a questo riguardo, la riflessione di un grande direttore d’orchestra, Riccardo Muti, anch’egli provato per lungo tempo dalla malattia: “Sapere di una vita oltre la morte che, certo, ignoro come potrà essere mi fa guardare con serenità al presente. Me lo ha insegnato la fede. E anche la musica perché quando dirigo un Requiem, di Mozart, di Cherubini o di Verdi, quelle note mi trasportano oltre, nella dimensione dello Spirito”.
Il gesto di Ezio Bosso accompagna le possibili e diverse risposte al perché dello sguardo verso l’alto, del dialogo tra il nulla e l’infinito che avviene soprattutto agli incroci della vita con il dolore innocente, con la paura del futuro.
Lo sguardo verso l’alto, il guardare oltre, non è perdersi nel vuoto, non è ignorare il limite, non è chiudere gli occhi sulle tragedie. C’è perfino la storia a confermarlo con le orchestre che si esibivano nei campi di concentramento nazisti, nella Sarajevo bombardata dall’esercito serbo, nella città devastate dal terremoto.
Anche in quelle tragedie, come in quella di oggi, lo sguardo verso l’alto suggerito dalla musica, diventava un incoraggiamento ad ascoltare la speranza, ad ascoltare una voce amica.
Difficile esprimere tutto questo con le consuete parole. “La musica – diceva Ezio Bosso – ci insegna la cosa più importante, ad ascoltare e ad ascoltarci. Un grande musicista non è che chi suona più forte ma chi ascolta e da lì i problemi diventano opportunità”.
L’uomo di cui si avverte la mancanza – è un messaggio per l’oggi – non è l’uomo che continuamente alza la voce, è l’uomo che alza la parola cioè vive l’ascolto, orizzontale e verticale, come una palestra di lungimiranza.