Lo scandalo dell’evasione diffusa
E’ una patologia di sistema che non da ora denota una mancanza di senso civico e di spirito solidaristico, oltre a implicare violazioni amministrative e talvolta penali
Hanno suscitato giustamente scalpore le contestazioni sollevate dall’Agenzia delle entrate nei confronti di due grandi gruppi internazionali. Vuoi per la rilevanza e la notorietà dei soggetti (Campari e Google) vuoi per l’entità delle somme in gioco (siamo intorno ai 2 miliardi di euro). Il nodo della vicenda è che tali soggetti (e altri in passato), pur operando stabilmente e massicciamente in Italia, hanno la loro sede all’estero e quindi non pagano le tasse in misura adeguata, come invece dovrebbero fare secondo il fisco di casa nostra. Ovviamente i due gruppi in questione sostengono una tesi diversa e staremo a vedere come andrà a finire il braccio di ferro. Nel 2022 Netflix chiuse un analogo contenzioso versando circa 55,8 milioni di euro, ma in questo caso le somme di cui discute sono molto superiori.
L’azione dell’Agenzia delle entrate verso i “grandi” è assolutamente doverosa ed è importante sia per un profilo di equità generale sia per il concreto beneficio che ne può derivare in termini di finanza pubblica. Scontato quindi il plauso del mondo politico e del governo in particolare, che ha più volte puntato il dito contro i big dell’evasione, italiani e non. E’ qui, però, che si annida un insidioso margine di ambiguità. Se il governo afferma che la priorità è stanare i grandi evasori, come ha ripetuto anche recentemente, questo non può comportare una caduta di tensione su tutto il resto. Perché è proprio nel resto che si è radicato il male cronico della situazione italiana. Ne è convinta anche la Corte dei conti che a fine giugno, nell’ultima relazione sul rendiconto generale dello Stato, ha auspicato “una maggiore frequenza dei controlli, non limitati alle posizioni rilevanti ma caratterizzati da un’azione più estesa, necessaria per contrastare l’evasione diffusa”. La magistratura contabile ha sottolineato che lo scorso anno gli accertamenti fiscali ordinari sono stati oltre 175 mila, ma nel 2022 erano stati circa 190 mila e nel 2019 – prima della pandemia – 267 mila. Certo, bisogna tener conto che parallelamente sono state introdotte varie forme di “rottamazione” con un’adesione significativa da parte dei contribuenti. Gli esiti, però, sono stati molto in chiaroscuro: nella quarta edizione, per esempio, a fronte di 6,8 miliardi riscossi si registrano rate non versate per 5,4 miliardi. Un mezzo fiasco, verrebbe da dire.
Al di là dei numeri, che pure hanno il loro valore, nella relazione della Corte dei conti colpisce il forte richiamo a quella che viene definita “evasione diffusa”. E’ una patologia di sistema che non da ora denota una mancanza di senso civico e di spirito solidaristico, oltre a implicare violazioni amministrative e talvolta penali. Il problema è che tale evasione gode di una copertura politico-culturale in qualche caso persino esplicita. In questa narrazione, lo Stato diventa un arcigno padrone a cui sottrarsi con ogni mezzo, lecito e illecito. E pazienza se alla fine a rimetterci sono i più deboli e coloro che cercano di fare fino in fondo il loro dovere. La forza di questa patologia è proprio nella sua diffusione, con le sue ben intuibili ripercussioni a livello di consensi elettorali. Far pagare finalmente le tasse a tutti, in modo equo e progressivo: questa sarebbe una bella riforma per la nostra democrazia.