Le elezioni obbligano a meditare sulle stesse radici del concetto di Europa
L’idea di Europa indica di per sé una comunità, ma nel rispetto delle individualità e nella coscienza di radici comuni.
Le elezioni europee ci hanno costretto a riflettere sui cambiamenti politici e partitici che si vanno delineando, soprattutto a causa della messa in crisi dello stesso concetto di Europa. La ricerca dei possibili rimedi non può però prescindere da un’altra fondamentale questione, quella delle radici dell’Europa. L’oblio delle sorgenti è già di per sé una causa di crisi, perché, è già accaduto con la messa da parte delle fondamenta storiche cristiane, esse non rappresentano residui archeologici ormai inerti, ma sono operative nel corpo vivo delle comunità. Sono parte integrante di un pensiero che è quello di chi condivide valori non esclusivamente legati ad una fede, ma anche all’accoglienza e all’abbraccio al pellegrino, chiunque esso sia. E anche questo, in alcune punte di polemica iper-laicistica, è stato colpevolmente rimosso. Anche perché quelle radici di cui si parlava prima non sono esclusivamente cristiane. Lo stesso nome rimanda ad un mito pagano, quello del ratto della fanciulla Europa, che tra l’altro secondo alcune fonti era fenicia, da parte di Zeus, che l’avrebbe portata a Creta. Come si vede gli stessi inizi sono al di là di confini etnici, visto che se Zeus era una divinità indoeuropea, Fenici e civiltà cretese appartenevano, -a seguire antiche classificazioni- ad altre stirpi.
Insomma, fin dall’inizio si profilava un destino di fusione al di sopra delle appartenenze etniche e territoriali. Certamente Europa avrà alla base, con l’avvento delle città greche, un valore anche geografico (l’Ellade e le sue colonie), ma lentamente essa acquisirà una forte connotazione politico-ideologica, divenendo la patria delle libertà politiche di contro alle monarchie assolutistiche orientali. I re persiani e orientali erano ritenuti di origini divina dai loro sudditi, mentre nelle poleis greche il governo era scelto liberamente dai cittadini: questa era la prima distinzione che faceva l’identità di un’Europa a trazione greca. Ma già con Alessandro Magno e l’ellenismo il concetto di Europa si allarga ad altri popoli, fino a che, con l’avvento del cristianesimo, esso comprenderà una più larga zona territoriale: le città dell’Africa del nord erano esse stesse parte di una civiltà che condivideva molti valori.
Se si pensasse che l’accusa agli altri popoli di non essere “all’Europea”, cioè governati dai princìpi di libertà (peraltro assai diversi dai nostri d’oggi) fosse di matrice unicamente confessionale e medioevale, si sbaglierebbe di grosso. Lo stesso Machiavelli ricordava che la virtù (la libertà politica, in questo caso) era adottata unicamente in Europa, e Voltaire da parte sua aveva intuito un elemento importante: l’Europa come insieme (lui la chiamava Grande Repubblica) di entità statali con un diritto pubblico e con una forte base comune religiosa.
Come si vede, l’idea di Europa indica di per sé una comunità, ma nel rispetto delle individualità e nella coscienza di radici comuni. Rimuovere queste radici significa cercare di scardinare fedi, tradizioni, culture che fanno la ricchezza non solo dei singoli popoli, ma dell’intera comunità.
Marco Testi