L’atteggiamento fa sempre la differenza. Tre pensieri dopo l’uscita dell’Italia da Euro 2024
Avvertenza: “Pensiero libero” ad alto rischio di moralismo, ripetitività, faciloneria, ma non tutto (spero) sarà da buttare.
Dunque, in tanti di noi ci siamo scatenati dopo la figuraccia della nostra Nazionale di calcio contro la Svizzera nell’Europeo di Germania. Niente da dire: ci sono molti modi di perdere, quello della Slovacchia e della Georgia (solo per fare due esempi) sa di onore, il nostro sa di assenza di spirito, scarsa consapevolezza dell’importanza dell’appuntamento, forse anche di poco attaccamento alla maglia azzurra. Anziché stracciarmi le vesti di fronte all’inaccettabile, vorrei ragionare su tre punti, che esulano dalle logiche del rettangolo verde. Il primo è: dove sono i Nico Williams e gli Yamal (coppia terribile di teenager spagnoli di seconda generazione) o i Bellinmgham (ventenne campione del Real Madrid e stella dell’Inghilterra, che ha salvato dall’eliminazione agli ottavi contro la Slovacchia grazie a una rovesciata al 95°)? I calciatori che abbiamo non sono campioni. Eravamo abituati bene con i vari Pirlo, Totti, Del Piero, Vieri, ma anche Maldini e Nesta e poi Chiellini. A leggere la formazione che ha vinto Euro 2020 i fuoriclasse scarseggiavano già, ma oggi la situazione è peggiorata. E per quanti “concetti” tattici o strategici e supporti psicologici vogliamo tirare fuori, alla fine è il talento che fa la differenza. Possiamo fare molto di più con i calciatori di oggi? Sì. Ma perché non ci sono più i campioni di sempre? Difficile dirlo, ma forse qualche risposta la troviamo nel medagliere degli Europei di atletica di Roma del mese scorso, nel primo numero uno italiano del tennis mondiale, nel dominio globale delle squadre italiane (nazionali e di club) per quanto riguarda la pallavolo, per non parlare di nuoto e MotoGP. Chissà, forse il calcio è in cima ai pensieri di chi ha i capelli bianchi, ma i (pochi) giovani nati dal 2000 a oggi in Italia guardano ad altri sport. O forse è semplicemente un ciclo finito e uno di nuovo deve ricominciare. A questo proposito, e siamo al secondo punto, mi ha fatto riflettere una frase di questi giorni dell’ex commissario tecnico Cesare Prandelli (a dieci anni dalle dimissioni dopo l’uscita al primo turno dal mondiale brasiliano): «Siamo molto competitivi a livello mondiale fino ai vent’anni, poi non riusciamo a inserirli nella nazionale maggiore e li perdiamo». Va ricordato infatti che l’Under-17 è fresca campione d’Europa, l’Under-19 è vicecampione del mondo in carica, mentre a livello di prima squadra non partecipiamo a un mondiale da dieci anni. Qui qualcosa sembra non funzionare nel sistema calcio del nostro Paese. Federazione e Lega Serie A appaiono sempre più distanti e abbarbicati su fronti e interessi opposti; soluzioni come la valorizzazione dei vivai (anche con le “squadre B”) e il limite alla presenza di stranieri ingaggiati (la Serie A ha la percentuale maggiore con il 61,3 per cento, segue la Premier con il 60 per cento, la Bundesliga è al 47 per cento e la Liga spagnola al 37 per cento) sono sulla bocca di tutti, ma nessuno fa niente. Le proprietà di molti club che cambiano dall’oggi al domani passando da un fondo di investimenti all’altro non facilita la gestione di giocatori, con tutte le fragilità che si nascondono dietro al “personaggio” che incarnano e che, pur essendo a libro paga delle singole società, rappresentano un patrimonio anche per la nazione che rappresentano. Se non si rema tutti dalla stessa parte, in base a obiettivi condivisi e competenze chiare per tutti, è complesso ottenere il risultato. E questo non vale per il solo calcio. Per chiudere: l’atteggiamento con cui si affronta una partita – anche la Partita della vita – è fondamentale. Ognuno ha i propri limiti, è importante esserne consapevoli, ma tutti noi abbiamo la possibilità di dare il massimo in quel che facciamo e di trarre senso da questo. C’è un tema valoriale in questi calciatori: arrivati non si è mai, la maglia della Nazionale chiede di più. Fino al ritiro ci sarà sempre da migliorare, non ci si può accontentare di esserci da spettatori passivi. E questo, appunto, dentro e fuori dal rettangolo verde.