L'ansia di non crescere figli "all'altezza" di fatto ingabbia i ragazzi. Liberi per crescere
La famiglia si trasforma in una sorta di progetto “imprenditoriale” dove i figli si riempiono di contenuti da “curriculum”, ma non si educano più.
E’ tempo di sfatare un mito. Non è vero che i genitori di oggi trascorrono meno tempo con i figli. Un’inchiesta a firma di una giornalista americana, Claire Cain Miller (The Relentlessness of Modern Parenting), pubblicata recentemente sul New York Times smentisce questa tesi e propone una interessante riflessione.
Al centro dell’indagine della Miller l’attuale modello di genitorialità cosiddetta “intensiva”, che pone al centro delle dinamiche e delle azioni familiari il bambino da educare, formare e aiutare a crescere.
Insomma pare che, contrariamente a quanto si tenda ad affermare, i genitori di oggi trascorrano parecchio tempo con i figli: leggono con loro, li accompagnano, partecipano alle loro attività e li aiutano a fare i compiti. Quando non riescono a farlo personalmente, si affidano a “tate” referenziate o ai nonni, supereroi della società contemporanea.
A volte sacrificano persino il lavoro e, soprattutto, si trasformano in veri e propri supporter sia nelle azioni pratiche che dal punto di vista emozionale.
Dov’è allora il baco? Cosa non funziona in questo modello così marcatamente bambinocentrico ed emotivamente assorbente, nonché impegnativo dal punto di vista economico?
Il problema non è il tempo, ma il modo in cui gli adulti tendono ormai ad affiancare le giovani generazioni. I bambini sono sempre più eccessivamente stimolati e, in un certo senso, privati di qualsiasi guizzo di libertà e personalità. Le giornate sono strutturate e non c’è nulla da decidere e organizzare. Diventano “oggetti”, più che soggetti, di una educazione basata in misura maggiore sull’intrattenimento che sulla formazione. Così si spiega anche l’impennata di una certa iperattività dei ragazzini, che insorge spesso come reazione angosciata di fronte al vuoto momentaneo di eventuali proposte.
L’intrattenimento, tra l’altro, diventa sempre più il tratto di questa società multimediale e cliccabile. Un atteggiamento che fa da contraltare alla mancanza di fiducia. Poca fiducia nel futuro e ansia di prepararsi al peggio, mancanza di fiducia nei nostri stessi figli che si considerano troppo fragili di fronte a un mondo insidioso, competitivo e anche violento.
Per questo motivo ci si danna l’anima convinti di “corazzarli” e invece di fatto ci ci si sostituisce a loro.
Mamma e papà sono chiamati a diventare allenatori, maestri, psicologi, nutrizionisti e mental coach dei propri figli. Per essere all’altezza di questo caleidoscopio di funzioni sono costretti a impegnarsi in quotidiane ricerche di informazioni in rete, chat con altri genitori, libri specializzati. Un impegno oltremodo stressante.
Alcuni sociologi evidenziano la stretta connessione fra “ansia economica” genitoriale ed educazione. Si vive nel terrore che i giovani finiscano nell’indigenza, senza lavoro e con una famiglia scoppiata. I figli sono privati della libertà di rischiare e sbagliare, quindi. Non si lascia spazio al margine dell’imprevisto. La famiglia si trasforma in una sorta di progetto “imprenditoriale” dove i figli si riempiono di contenuti da “curriculum”, ma non si educano più.
Mentre cresce la carica ansiogena delle famiglie, lo Stato fa sempre meno per supportare il nucleo primario della società. I genitori così risultano sempre più impegnati e sopraffatti dai sensi di colpa, o da un senso di diffusa incapacità.
Il modello educativo attuale pone al centro “la riuscita sociale ed economica” del bambino e non le sue vere inclinazioni, il suo io profondo.
L’esperienza della libertà è alla base della crescita. Attraverso la sua pratica si arriva all’ascolto di se stessi e si può orientare in maniera consapevole la propria vita.
Occorre fare un passo indietro. La cura di un figlio non è una operazione scientifica, ma un processo emotivo e affettivo da gestire con equilibrio e fiducia.
Silvia Rossetti