«L’Ue scelga il sociale». Parla Bernardo Cortese, ordinario di Diritto dell'Ue a Padova
Bernardo Cortese, ordinario di Diritto dell’Ue a Padova: «Occorrono scelte ambiziose, un governo di “piccolo cabotaggio” finirebbe per frammentarsi»
Il processo che ha portato alla rielezione di Ursula von del Leyen è stato lineare e in continuità con il recentissimo passato dell’Unione europea, ma c’è una grossa incognita sui prossimi cinque anni: la presenza di un’opposizione assai più marcata e in disaccordo non tanto sul programma descritto dalla presidente della Commissione, ma sull’idea stessa di Europa. «Quest’ultimo fattore rappresenta senz’altro una grossa novità – commenta il prof. Bernardo Cortese, ordinario di Diritto dell’Unione europea presso il dipartimento di Diritto pubblico, internazionale e dell’Ue all’Università di Padova – e tuttavia non è ancora chiaro quale impatto potrà avere».
In effetti patrioti e conservatori sono sembrati ai margini in questa prima sessione elettiva del Parlamento di Strasburgo. «A garantire un procedimento del tutto lineare sono state le norme stesse che regolano i rapporti tra le istituzioni europee. Ne usciamo con la presidente del Consiglio italiana infastidita che tuttavia non ha provato a bloccare l’elezione di Von der Leyen semplicemente perché non è possibile. Il nome della popolare tedesca è stato individuato nel Consiglio europeo, dove basta la maggioranza qualificata, ed è stato poi votato in Parlamento. La situazione si è dimostrata molto più tranquilla rispetto a cinque anni fa, quando Von der Leyen non era la candidata di punta del Partito popolare europeo e la scelta era ricaduta su di lei dopo un braccio di ferro con alcuni Stati membri. Ora tuttavia abbiamo davanti a noi la fase di costruzione della Commissione e non sarà banale».
Il voto per Von der Leyen ha risentito di una cinquantina di franchi tiratori e ha dimostrato che i Verdi sono decisivi. Questa maggioranza terrà lungo la legislatura? «Paradossalmente, la presenza di una minoranza combattiva e portatrice di una visione diversa di Europa potrebbe avere effetti positivi anche sulla maggioranza, almeno rispetto ai rapporti tra Parlamento e Commissione».
Che cosa intende?
«Le pressioni che arrivano da destra potrebbero indurre Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi a negoziare con la Commissione forti misure sul piano sociale, una riedizione del Next Generation Eu non basato sulla transizione digitale e green, bensì su misure prettamente a favore delle fasce medio-basse della popolazione con un adeguato stanziamento di fondi. Una risposta così ambiziosa a chi descrive l’Unione europea come il luogo solamente dei regolamenti e della burocrazia avrebbe l’effetto di compattare la maggioranza e di togliere molti argomenti alla minoranza».
Von der Leyen avrà la forza per un’operazione simile, dato anche il contesto internazionale?
«Dalla sua parte c’è l’esperienza di questi cinque anni. Il programma su cui aveva ottenuto la fiducia nel 2019 è stato rispettato, con gli aggiustamenti che il Covid ha imposto, ma non si sono registrate marce indietro. E la tematica sociale era già ben presente, basti pensare alla direttiva sui salari minimi. Von der Leyen potrebbe ripetersi e nel discorso che ha tenuto di fronte al Parlamento il 18 luglio il “pilastro sociale” ha avuto una parte fondamentale. Accanto a questo la presidente ha indicato delle priorità ben diverse rispetto a cinque anni fa, dettate proprio dal contesto internazionale. Pensiamo alla spinta per investimenti in materia di difesa e sicurezza e al notevole accento posto su alcune forme di intervento in campo economico, visto anche quanto accaduto negli Stati Uniti e altrove, dove non si è pensato due volte quando è venuto il momento di offrire supporto alle imprese in difficoltà. Com’è ovvio, la dinamica parlamentare avrà un ruolo fondamentale: se le minoranze riusciranno a sgretolare l’intesa tra gruppi politici che hanno votato la fiducia, misure in continuità con il passato probabilmente non avranno lunga vita. È possibile che la pressione da destra faccia venir meno la condivisione nel Ppe di alcuni elementi basilari e altrettanto discussi del Green Deal, come la scelta di puntare sulle auto elettriche e la normativa che impone l’efficientamento energetico delle abitazioni entro il 2035».
E tuttavia in Europa il potere legislativo non è in capo al solo Parlamento, ma anche al Consiglio europeo… «Sugli equilibri tra Stati membri all’interno del Consiglio europeo occorrerà valutare di volta in volta anche in vista delle prossime tornate elettorali. Se, per esempio, Marine Le Pen venisse eletta presidente della Repubblica francese andrebbe ripensato l’intero modello europeo. L’unità del Consiglio non è mai scontata e basta che cambino le maggioranze in alcuni Stati perché il quadro muti in maniera significativa».
Un quadro che rimane complesso.
«Gli attori in campo sono molteplici. Non possiamo fare previsioni basandoci sulla mera dinamica parlamentare. Una cosa tuttavia mi pare scontata: se in questo panorama si sceglierà un governo di piccolo cabotaggio si andrà incontro a una frammentazione della maggioranza tanto in Parlamento quanto in Consiglio. Siamo di fronte a una legislatura chiave, occorrono decisioni importanti, anche al costo di cambiare i trattati».
La sfida dell’allargamento dell’Unione a Est
Un’Unione più grande è anche più forte, ha detto Ursula von der Leyen, aprendo all’ingresso di Ucraina, Balcani, Moldova e Georgia. «Una grande incognita – secondo il prof. Cortese – Andiamo verso un semplice allargamento o procediamo per cerchi concentrici? Ogni nuovo ingresso appesantisce le istituzioni per un certo periodo come si è visto nel 2004, quando l’allargamento era comunque doveroso per solidarietà e strategia. Ma se a questo si unisce la possibilità per alcuni Stati di completare l’integrazione su profili centrali, creando un’Ue a cerchi concentrici, appunto, si genererebbe la spinta per un cambio di passo. Nel 2002, in vista del trattato di Nizza del 2004, andava fatto esattamente questo, ma poi i timori del presidente Chirac di perdere capacità di incidere sui processi con nuove regole portò a un nulla di fatto».