Il vescovo emerito Mattiazzo sul Coronavirus: "La pandemia sta mettendo in ginocchio il mondo, ma potrà anche lasciare un segno positivo"
La pandemia sta mettendo in ginocchio il mondo, ma potrà anche lasciare un segno positivo nelle nostre vite. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato – ricorda il papa – si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Comprendiamo il “segno” del Coronavirus se cominciamo a rivedere i nostri stili di vita
Il Coronavirus è invisibile agli occhi. Forse è bene che pensiamo all’Invisibile, che troviamo un vaccino per il nostro spirito capace di vincere l’incertezza e la paura, in attesa che gli scienziati ne trovino uno per il corpo, perché non è sicuro che tutti lo potremo usare. Il Coronavirus diventa allora un “segno”, che rimanda a qualcosa altro e che richiede d’essere interpretato.
«Sali in alto» è stato detto al veggente dell’Apocalisse per scrutare i segni dei tempi (Ap 4,1). Una chiave di interpretazione senz’altro affidabile è la Bibbia. Proviamo ad aprirla.
I “segni” sono eventi storici, ma possono essere anche fenomeni particolari della natura. L’attuale pandemia, oltre che essere un fatto fisico-chimico, è da considerare un “segno” che ci rimanda a qualcosa di molto importante. Ma cosa? La Bibbia vede la natura come opera del Creatore sempre in relazione con Lui, nello stesso tempo come l’ambiente vitale dell’essere umano, collegato intimamente alla natura con il proprio corpo. Ora, il disordine morale dell’uomo, che ha un riferimento al Creatore, si ripercuote sulla natura e la corrompe. Dopo il peccato commesso nell’Eden da Adamo ed Eva, Dio promette la salvezza, ma anche dice rivolto ad Adamo «maledetto il suolo per causa tua ... spine e cardi produrrà per te» (Gen 3, 117-18). Dio non maledice l’uomo, ma la terra “per causa dell’uomo”, cioè della sua trasgressione dell’ordine di Dio. La creazione come opera di Dio è buona, pur con i suoi limiti creaturali, ma è stata affidata, all’uomo che può corromperla.
San Paolo ha un pensiero sorprendente: «La creazione infatti è stata sottoposta alla vanità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino a oggi» (Rm 8, 20-21). La creazione geme quando non è più a servizio del bene dell’uomo e della glorificazione di Dio; e questo avviene a causa del peccato dell’uomo e fa gemere anche noi, come accade oggi. Papa Francesco l’ha richiamato con queste parole: «La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi» (Laudato si’).
Si può dire che questo sia un castigo di Dio? In verità non c’è bisogno che Dio intervenga per castigare perché con i nostri cattivi comportamenti infrangiamo l’ordine morale posto dal Creatore e ci castighiamo da noi stessi. Il male che l’uomo commette e penetra nelle cose ha una misteriosa relazione col peccato, ma non sfugge al controllo di Dio, nelle cui mani sono gli abissi della terra (Sal 95,4). Dio è giusto e permette le calamità secondo un suo insondabile disegno, ma è soprattutto pietoso e misericordioso, e perciò interviene per salvare, correggere scelte sbagliate, facendo servire anche il male e la sofferenza a un fine di bene. Ha permesso il diluvio, e nel contempo ha ispirato Noè a costruire l’arca per salvare se stesso, la sua famiglia e gli animali. La sua intenzione è bene espressa dal profeta: «Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva» (cf. Ez. 18, 23). Il Manzoni ha saputo esprimere questa verità con un tocco luminoso: «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande» (I promessi sposi, cap. 8).In questa emergenza il nostro sguardo dovrebbe volgersi soprattutto a Gesù. Agnello innocente ha preso su di sé, nella sua dolorosa passione, i nostri dolori, le nostre piaghe del corpo e dell’anima, e risorgendo nel suo corpo glorioso, immune dalla malattia e dalla morte, ha inaugurato un mondo nuovo. Egli non ci abbandona, è presente in ogni sofferente, e infonde conforto e speranza. In questo tempo nel pregare la Via crucis commemoriamo la passione, morte e risurrezione di Cristo. Teniamo presente che la Via crucis di Cristo continua nel suo Corpo mistico che è la Chiesa e nell’umanità sofferente. Con la fede e la preghiera possiamo cambiare la sofferenza nella croce che redime e salva conducendo alla risurrezione. La croce nostra, unita a quella di Cristo, diventa segno di speranza.
La comparsa dell’epidemia è quasi coincisa con l’inizio della Quaresima. Il messaggio che la Chiesa, a nome di Dio, ci ha rivolto è molto chiaro: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti… ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso» (Gl. 2,12-13). Ritornate: vuol dire che ce ne siamo allontanati, che gli abbiamo voltato le spalle. Presi dai nostri interessi e affari, dai nostri egoismi, abbiamo dimenticato Dio, non abbiamo ascoltato il precetto “Ricordati di santificare la festa”, e perciò oggi siamo senza festa.
Sono sempre attuali e da meditare le parole che Mosè rivolse agli Israeliti quando stavano per lasciare le tende e la penuria del deserto per entrare nella Terra promessa dove “scorreva latte e miele”: «Guardati bene dal dimenticare il Signore, mio Dio, così da non osservare i suoi comandamenti… Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato... quando avrai visto crescere il tuo argento e oro e abbondare ogni cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore ... Guardati, dunque, dal dire nel tuo cuore: “la mia forza e potenza mi hanno acquistato queste ricchezze”. Ricordati, invece, del Signore, tuo Dio, perché egli ti dà la forza» (Deut. 8, 11-17).
Il ritorno a Dio inizia con il rientrare in se stessi, come ha fatto il figliol prodigo della parabola (cf. Lc 15, 17); rientrare in noi stessi per renderci conto, anzitutto, che siamo creature deboli, creature sempre mancanti, anche se avessimo soddisfatto tutti i bisogni umani, perché abitate da un desiderio di completezza, di pienezza e di infinito, che solo Dio può colmare. Il ritorno a Dio vuol dire, soprattutto, raccogliersi per ascoltare nel nostro intimo la Sapienza eterna e la voce dello Spirito; vuol dire irrorare il nostro spirito inaridito alla sorgente della preghiera. Per san Paolo la persona è «spirito, anima e corpo» (1 Ts 5,23); lo spirito è la parte superiore dell’anima che si apre all’irradiazione dello Spirito di Dio, da cui riceve fasci di luce, fiumi di pace, di amore, di fortezza, di speranza. Obbligati a rimanere in casa, entriamo, come diceva santa Caterina da Siena, nella “cella” dell’anima nostra per incontrarvi il Signore.
Un inno di Quaresima esorta: “sia parca e frugale la mensa”. Il ritorno a Dio, nella parola dei profeti, va accompagnato dal digiuno. È una prassi di fatto scomparsa per la maggioranza, trascurata forse anche troppo nella Chiesa, sostituita dalle diete, richiamata dai musulmani fedeli al Ramadan. Penso che la sobrietà e il digiuno siano invece proposte di grande saggezza, anche perché dovremmo prepararci, cessata l’epidemia, a non usufruire più del livello di benessere di prima. Comprendiamo il “segno” del Coronavirus se cominciamo a rivedere i nostri stili di vita con sapienza e coraggio.
San Paolo scrive che, per la redenzione di Cristo, «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5, 20). Questa verità ci ispira una grande fiducia. Nella storia succede che lo Spirito Santo, quando nella società cresce il male, parla al cuore, accende il fervore, ispira nuove iniziative, suscita una nuova creatività per operare una qualità di bene superiore. Lo si può scorgere anche oggi: come, ad esempio, nel prodigarsi del personale sanitario fino ai limiti delle forze, nelle tante iniziative di celebrazioni, di predicazione, di preghiera servendosi delle tecnologie mediatiche, nella generosa solidarietà, con la ripresa della preghiera in famiglia, che era caduta in desuetudine.
Dio pietoso e misericordioso, ci assicura la Bibbia, è toccato dalla preghiera di chi intercede con cuore contrito e umiliato, di chi, con insistenza e per amore dei fratelli, lo supplica di far cessare calamità naturali che provocano grandi sofferenze. Nel passato, quando imperversava la peste, le popolazioni si recavano in processione ai santuari mariani, facendo anche voti che continuano a rinnovare ogni anno. Oggi, che imperversa il Coronavirus, non ci è permesso di farlo fisicamente, ma possiamo attuarne lo spirito in vari modi. La preghiera del Rosario è importante e benefica, perché possiamo offrirla alla Vergine Maria per tante intenzioni suggerite dalla situazione odierna, fiduciosi che la nostra Madre ha un particolare potere di intercessione presso il Signore.
Il Coronavirus se lo affrontiamo con fede, saggezza e coraggio, lascerà un segno positivo nella nostra vita.
Antonio Mattiazzo
vescovo emerito di Padova