Il valore dell’istruzione. Vale la pena di pensare la scuola in modo diverso, come una grande opportunità
La scuola è un valore decisivo per la società e la misura ce la possono dare gli sguardi su situazioni ben differenti e non troppo lontane dal nostro mondo occidentale
La scuola è finita. Viva la scuola. Sono terminate le lezioni e, esami a parte, ecco il “tutti a casa”, come se l’ultima campanella fosse una liberazione.
In effetti, soprattutto per gli studenti – piccoli e grandi – il termine delle lezioni significa la fine di un impegno costante, di orari stabiliti, del “peso” dello studio e del confronto – sì, anche questo – con coetanei ed adulti che ogni giorno richiedono di essere all’altezza (in diversi modi, naturalmente).
Eppure, a bocce ferme, vale la pena di pensare la scuola in modo diverso, come una grande opportunità. Certo, lo si dice tante volte, ma come succede in tanti campi, talvolta non si coglie adeguatamente il valore di cose che abbiamo “sotto il naso”, alle quali siamo abituati, che appartengono normalmente alla quotidianità.
Così è per la scuola. Ci vanno tutti ormai – ma va ricordato che la conquista della scolarizzazione di massa in Italia è stata dura da raggiungere – ed è considerata una routine. Ma si tratta di un valore decisivo per la società e la misura ce la possono dare gli sguardi su situazioni ben differenti e non troppo lontane dal nostro mondo occidentale.
L’Unicef, ad esempio, il 13 giugno scorso ha ricordato con un appello ufficiale una ricorrenza triste: 1.000 giorni dall’annuncio del divieto di frequentare le scuole secondarie per le ragazze in Afghanistan. 1.000 giorni fuori da scuola pari a 3 miliardi di ore di lezione perse. Lo ha affermato Catherine Russell, Direttrice generale dell’Organizzazione internazionale, attirando l’attenzione su una situazione sicuramente drammatica, nel Paese dei talebani. Gli stessi fondamentalisti che in Pakistan sono stati sfidati alcuni anni fa da Malala Yousafai, ragazzina indomita, ferita gravemente proprio per impedirle di andare a scuola, sopravvissuta e poi diventata simbolo dell’impegno per l’istruzione e i diritti civili, Premio Nobel per la pace. “Tutto ciò che voglio è l’istruzione. E non ho paura di nessuno”.
Per 1,5 milioni di ragazze – spiega ancora la direttrice Unicef, riferendosi alla situazione in Afghanistan – l’esclusione “sistematica” dalla scuola “non è solo una palese violazione del loro diritto all’istruzione, ma comporta anche opportunità sempre più scarse e un deterioramento della salute mentale. I diritti dei bambini, soprattutto delle ragazze, non possono essere ostaggio di politiche. Le loro vite, il futuro, le speranze e i sogni sono in bilico.
L’impatto del divieto – aggiunge – va oltre le ragazze stesse. Acuisce la crisi umanitaria in corso e ha serie ramificazioni per l’economia e la traiettoria di sviluppo dell’Afghanistan. L’istruzione non fornisce solo opportunità. Protegge le ragazze da matrimoni precoci, malnutrizione e altri problemi di salute e rafforza la loro resistenza a disastri come le inondazioni, la siccità e i terremoti che spesso affliggono l’Afghanistan”.
Non c’è solo l’Afghanistan. In diversi Paesi del mondo – i più poveri, quelli dove esistono regimi oppressivi… – l’istruzione non è un bene fruibile da tutti e le istituzioni internazionali si danno da fare per promuovere le occasioni di sviluppo, per monitorare le opportunità.
Ricordarlo, in una realtà come quella italiana e occidentale in generale, significa far percepire una volta di più il valore di quanto è già a disposizione, motivare gli investimenti, ribadire che è cominciando dai più piccoli e dalla loro cura – la scuola fa questo, a proprio modo – che si può costruire una società migliore.