Il corpo “difficile”. Il corpo ha, nel tempo in cui viviamo, una dominante dimensione iconica
È difficile fare i conti con la propria “morfologia”, soprattutto lo è in questi anni contrassegnati da una cultura narcisistica e ideologizzante, estrema per molti versi.
L’adolescenza è più che mai l’età del corpo, quella in cui avviene la metamorfosi forse più straordinaria e sconvolgente dell’esistenza umana. In una manciata di anni un corpo acerbo e infantile diventa adulto, esuberante. Si tratta di una trasformazione che mina gli equilibri di chi la subisce, ma anche dell’intero nucleo familiare che vi assiste, non sempre giungendo adeguatamente preparato all’evento.
È difficile fare i conti con la propria “morfologia”, soprattutto lo è in questi anni contrassegnati da una cultura narcisistica e ideologizzante, estrema per molti versi. Un’epoca in cui l’adolescenza sembra riguardare non soltanto i ragazzi, ma anche molti atteggiamenti dei cosiddetti adulti e dell’intera società.
Per i teenager il cambiamento avviene su doppio binario: investe il corpo e la mente. E sebbene la mente sia per eccellenza il luogo della ricerca dell’identità e degli eventuali nuovi equilibri, si tende in misura sempre più marcata a porre l’accento sul corpo.
Così il corpo per gli adolescenti diventa il luogo della ribellione, della protesta, del senso di onnipotenza, dell’emancipazione dalle figure genitoriali, dell’affermazione di sé, ma anche del dolore, della solitudine, della non accettazione, del non sentirsi adeguato e del disagio.
A pensarci bene, però, la ribellione del corpo non riguarda soltanto i nostri figli. Essa investe l’intero tessuto sociale. Dietro l’ossessivo proliferare di pratiche legate al “benessere”, alla “salute”, al “fitness” si cela lo sforzo collettivo a far sì che la giovinezza possa prolungarsi per tutti oltre le canoniche soglie, diventando quasi ragione di vita. Il corpo ha, nel tempo in cui viviamo, una dominante dimensione iconica.
Non c’è da stupirsi, quindi, se questa dimensione investa fortemente i nostri giovani, i quali già fisiologicamente ne sono condizionati. A complicare le cose il fatto che l’adolescenza è un passaggio in cui il corpo diviene quasi estraneo, sconosciuto, ricco di potenzialità, ma anche carico di pericoli che non possono essere fermati o controllati.
Tra questi pericoli rintracciamo, ad esempio, i disordini alimentari, le tentazioni autolesionistiche e anche il disorientamento sessuale.
Sul fronte dei disturbi dell’alimentazione vengono censite nuove “varianti” come l’ortoressia, ovvero la tendenza maniacale al “mangiar sano”; la bigoressia, cioè l’ossessione per il corpo “big” (grosso) e pieno di muscoli, diffusa soprattutto fra i maschi; nonché la drunkoressia, ossia la pratica dei digiuni compensativi rispetto alle quantità di alcol ingerite.
L’autolesionismo, invece, si trasforma per i più fragili in un meccanismo di sopravvivenza. Tagliarsi e farsi del male anestetizza rispetto a dolori più grandi e meno sopportabili come il senso di inadeguatezza, la bassa autostima, le difficoltà relazionali e i conflitti in famiglia o a scuola. La ferita crea una sorta di rifugio emotivo, scarica tensioni e autopunisce.
Riguarda l’adolescenza anche quella che, ultimamente, viene etichettata come “fluidità” di genere e che rispecchia un disorientamento ormai piuttosto diffuso. Anche nella sfera sessuale si tende a confondere la realtà con il mondo iconico e patinato delle celebrità, si emulano gli influencer e ci si confronta con il virtuale.
“Il corpo acquista potere là dove lo spirito si ritira”, avverte Byung-Chul Han nel suo ultimo saggio “La società senza dolore” (Einaudi, 2021). Il filosofo coreano evidenzia, inoltre, che l’ansia da prestazione che scarichiamo sui nostri corpi ci porta a un collettivo burn-out, vera e propria anticamera di molti stati depressivi. Han parla di “autosfruttamento volontario. Il soggetto di prestazione sfrutta se stesso fino alla consunzione”.
Le naturali crisi adolescenziali prendono, dunque, forma nel medesimo scenario miope e malsano che incatena gli adulti alle proprie debolezze. Per questo motivo spesso sono identificate da genitori ed educatori soltanto quando assumono contorni pericolosi e inquietanti.
Lo scenario è quello dell’autoreferenzialità e del solipsismo collettivo, consumati all’interno della gigantesca cassa di risonanza del mondo digitale.