Il 25, ma anche il 26. Il 25 Aprile, data di rinascita, arriva in un momento in cui l’Italia prova a rialzare la testa rispetto al Covid
Non è mai tempo di abbassare la guardia: di fronte alla pandemia come di fronte alla dimenticanza dei valori di unità e di coesione nazionale.
Il 25 Aprile si festeggia la Liberazione. E’ una cosa seria, nel senso che si tratta di un giorno di memoria nazionale importante, fa parte della costruzione della storia della nostra Repubblica e ha a che fare con i valori che animano la convivenza civile dell’Italia.
Su questa Giornata si accavallano da tanti anni polemiche di ogni genere, nelle quali è preferibile non entrare qui, sottolineando piuttosto una frase che ebbe a dire il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l’anno scorso, durante una celebrazione “straordinaria” della festa nazionale, visto il contesto pandemico che a suo modo raccoglieva – e ancora raccoglie – l’Italia intera senza distinzioni: “Nella nostra democrazia la dialettica e il contrasto delle opinioni non hanno mai, nei decenni, incrinato l’esigenza di unità del popolo italiano, divenuta essa stessa prerogativa della nostra identità. E dunque avvertiamo la consapevolezza di un comune destino come una riserva etica, di straordinario valore civile e istituzionale.
Un po’ come dire: siamo abituati a litigare – e sulla Liberazione ci si è cimentati più volte – ma sappiamo anche restare uniti, fare “popolo”, in particolare nelle emergenze.
E’ anche questo un retaggio di quei momenti difficili del passato in cui – ancora ebbe a dirlo Mattarella l’anno scorso – “Le energie positive che seppero sprigionarsi in quel momento portarono alla rinascita. Il popolo italiano riprese in mano il proprio destino”.
Naturalmente la scuola è un luogo privilegiato per celebrare il 25 Aprile. Lo è perché l’ambiente scolastico può e deve assicurare insieme conoscenze e dialettica, approfondimento e confronto, ricerca delle radici e capacità di guardare avanti.
Quest’anno possiamo immaginare un significato speciale, accostando al 25 Aprile della Liberazione, il giorno successivo, il 26 aprile, con la ripresa di gran parte dell’attività scolastica in presenza, costretta diversamente dalla pandemia. L’anno scorso eravamo in una situazione di isolamento, al punto che il Capo dello Stato colpì l’immaginario collettivo sostando da solo, con la mascherina indossata, all’Altare della Patria, senza cerimonie roboanti. Da solo, quasi indifeso, come forse ci sentivamo un po’ tutti di fronte all’eccezionalità del momento che stavamo attraversando.
Oggi le cose sono cambiate. Il 25 Aprile, data di rinascita, arriva in un momento in cui l’Italia prova a rialzare la testa rispetto all’emergenza Covid. Le scuole riaprono – sia pur con le attenzioni dovute, con le percentuali discusse, con le polemiche che non mancano mai – la campagna vaccinale va avanti, i contagi diminuiscono, l’Italia si colora quasi tutta di giallo: che curiosamente non è uno dei colori della bandiera nazionale, ma intorno al quale ci aggrappiamo per guardare avanti. Non è tempo, certo, di abbassare la guardia, ma anche la storia ce lo ricorda. Non è mai tempo di abbassare la guardia: di fronte alla pandemia come di fronte alla dimenticanza dei valori di unità e di coesione nazionale che hanno attraversato e attraversano il nostro passato e il presente.
Questo 25 Aprile sia dunque il prodromo del 26, del “giorno dopo”, il giorno delle riaperture, della ripartenza, del rilancio. A cominciare proprio dagli studenti: che possano tornare a incontrarsi e se non ad abbracciarsi almeno a guardarsi negli occhi, quelli sì sempre liberi dalla mascherina, senza la mediazione di pc e smartphone, in campo aperto e fuori dalle stanze-rifugio-prigione (chiedete ai genitori) che in tanti mesi hanno spesso compresso personalità destinate a ben altri spazi.