Europa. Paterniti, Tognon e Pombeni, “andare a votare” anche per “dare un segnale al governo”
Si è parlato di Europa al termine della prima giornata del Convegno Cei #ComunitàConvergenti. Paterniti, Tognon e Pombeni, hanno illustrato la "posta in gioco" e le sfide più urgenti da raccogliere. Un imperativo su tutti: prendere sul serio la scadenza elettorale del 26 maggio
(da Assisi) L’Europa sta attraversando un momento molto delicato della sua storia, e il voto del 26 maggio è un tornante decisivo. A segnalarlo, cercando di delineare il volto dell’Europa come “comunità”, sono stati Giuseppina Paterniti, direttrice del Tg3Rai, Giuseppe Tognon, professore ordinario alla Lumsa, e Paolo Pombeni, professore emerito all’Università di Bologna, protagonisti della prima serata del Convegno Cei #ComunitàConvergenti, in corso ad Assisi fino a domani.
“Molta gente in Italia non ha intenzione di andare a votare, perché sente lontana l’Europa”, il grido d’allarme di Paterniti, che ha fatto notare come “l’aver fatto passare quella dell’Europa come una questione di burocrati che decidono al posto nostro ha fatto comodo a tutti: portano a casa un risultato, senza interessarsi a quello che avviene”. Dei quattro players mondiali – gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e l’Europa – “che fanno in modo di eliminarsi per far sì che resti una sola voce”, l’Europa “è il player più grande del mondo, ha la moneta più forte del mondo, eppure non riesce a parlare con una sola voce, perché non abbiamo completato il cammino di unificazione politica”. “L’Unione europea ha fragilità e parcellizzazioni che rendono molto delicato il prossimo voto, perché manca la consapevolezza che siamo davanti davvero a un bivio”, la tesi della relatrice. L’immigrazione, inoltre, “è diventato il problema centrale dell’Europa, che però fa i conti con problemi più grandi, prima di tutto il lavoro. Si tratta, come dice il Papa, non di un’epoca di cambiamento ma di un cambiamento d’epoca: avremo a che fare ancora con molta povertà, perché i vecchi lavori si stanno esaurendo e i nuovi non si sono ancora affermati”. Il nostro, infine, è un continente vecchio, “e gli anziani non scommettono sul futuro. Davanti a noi rischiamo di non avere orizzonte: i valori fondamentali rischiano di essere intaccati, se non abbiamo chiaro i valori di fondo a cui ispirarci”.
“Serve il coraggio di un progetto, il coraggio di muoversi, di mettere in fila i valori, e a livello ecclesiale si può fare moltissimo”, l’appello di Paterniti, anche grazie alla capacità di “fare memoria del passato di un continente che ci ha regalato un orizzonte di pace perché veniva da secoli di guerra”. “L’84% dei giovani italiani è europeista”, ha concluso la direttrice del Tg3Rai: “Gli anticorpi per guardare avanti con fiducia ci sono, bisogna avere il coraggio di coltivarli e di farli crescere. Prendendoci cura uno dell’altro, perché da soli non possiamo fare niente”.
“La mentalità dell’azzardo si è impadronita di tutte le nostre vite”.
Ne è convinto Tognon. “Alla base di ogni convivenza c’è un tasso profondo di violenza, e noi abbiamo perso ogni intelligenza sulla violenza, cioè ogni capacità di regolarla, mitigarla, viverla in un certo modo”, la tesi del relatore, che ha citato il mito di Europa, alla base del quale c’è appunto il ricordo di una violenza. La soluzione, si è chiesto Tognon, è quella proposta da Rod Dreher in “The Benedikt option”, e cioè che l’unica strategia per i cristiani, in una nazione post-cristiana, è quella di “tornare all’opzione Benedetto, via da Roma, per costruire comunità lontane e ripartire per un nuovo umanesimo?”. “Non ce la possiamo permettere”, la risposta: “Siamo tanti, ricchi, angosciati, non si raddrizza l’Europa con questa opzione”. Come scrive Dietrich Bonhoeffer ne “La vita comune”, “solo nella comunità che è profondamente delusa per cose spiacevoli la vita comune incomincia ad essere ciò che deve essere davanti a Dio”. “Questo, allora, è un buon momento”, ha commentato Tognon: “È quando ci si trova delusi che si può cominciare a superare la violenza di cui siamo noi stessi portatori. La vita comune è per i cristiani una cosa altamente spirituale, non semplicemente conveniente”.
“Raramente abbiamo avuto una scadenza elettorale così importane come quella del 26 maggio, di cui la gente non si rende assolutamente conto”.
A sottolinearlo è stato Pombeni, ricordando che “il contesto in cui siamo inseriti è quello dell’Unione europea, se fallisce saremo travolti da questo fallimento”. “L’Europa sta cambiando”, ha fatto notare il relatore a proposito dello “scenario completamente cambiato” dopo “il sogno degli Stati Uniti d’Europa”, realizzatosi negli Anni Cinquanta: “una scommessa vinta, il meraviglioso sviluppo è arrivato, l’Europa è stata un’esplosione del benessere, e il suo mito attrattivo ha attratto i Paesi dell’Est nella speranza di sedersi a questa tavola imbandita”. “Questo tipo di Europa non c’è più e non potrà più esserci, perché è finita l’età dell’abbondanza ed è arrivata una grande transizione storica”, la tesi di Pombeni, che ha paragonato la rivoluzione digitale alla rivoluzione della stampa: “Quello che c’è prima sembra non valere più. Stanno cambiando i centri di potere e di sviluppo nell’Europa: negli Anni Cinquanta nessuno pensava che Cina e India sarebbero stati quello che sono adesso. Questo cambiamento generale presuppone che l’Europa si attrezzi”. E l’Italia cosa farà? “Dobbiamo lavorare per contare nel Consiglio europeo, dei Capi di Stato, perché è lì che si decidono le cose”, ha proposto l’esperto:
“Il 26 maggio votiamo non soltanto per il Parlamento europeo, ma anche per mandare un segnale preciso al governo italiano, quale che sia.
Dobbiamo avere molta credibilità, e punire tutti quelli che la credibilità non sanno dove sta di casa: per questo occorre motivare le persone ad andare a votare”.