Elezioni europee: cosa ci dobbiamo aspettare dal 26 maggio?
In Italia, in particolare, c'è il rischio che lo scontro politico all’interno (e intorno) alla maggioranza di governo finisca per monopolizzare l’attenzione dell’opinione pubblica. Certo, in tutti i Paesi della Ue il voto del 26 maggio è destinato ad avere un impatto sugli assetti nazionali e sarebbe irrealistico immaginare il contrario, dato che i soggetti in campo sono gli stessi. Ma da qui a trasformare la consultazione europea in un referendum interno c’è una differenza sostanziale. Si vota per l’Europa e per il suo futuro
Le elezioni europee? “Un’opportunità che ci rammenta la nostra appartenenza a una casa comune, cui dobbiamo contribuire con impegno per dare nuovo slancio a un modello basato su diritti, libertà, responsabilità e solidarietà, al fine di superare insieme le criticità”. Le parole del Capo dello Stato, contenute in un messaggio all’assemblea di Rete Imprese Italia, hanno richiamato nei giorni scorsi il significato autentico del voto del 26 maggio. Un appuntamento che cade a cinque anni esatti dall’ultima tornata elettorale europea, anche se da allora sembra passato un secolo, tali e tanti sono stati in cambiamenti intervenuti nel contesto nazionale e internazionale. Era il 25 maggio del 2014 e la percentuale di italiani che andò alle urne non raggiunse il 60%: era la prima volta che accadeva in un’elezione non locale. L’affluenza fu del 58,7% (escludendo il voto all’estero). Un risultato che ci collocava comunque al quarto posto tra gli Stati della Ue ma che rappresentava un calo di ben 7,7 punti rispetto alla tornata precedente.
Che cosa ci si può aspettare per il prossimo 26 maggio? I sondaggi mettono in evidenza una quota significativa di indecisi (sia rispetto alla scelta del partito, sia rispetto alla decisione di partecipare al voto). E’ innegabile, tuttavia, come questo appuntamento elettorale europeo abbia assunto una rilevanza politica che forse non aveva mai avuto in passato. Non soltanto per le possibili ripercussioni interne, ma soprattutto per le conseguenze dirette sugli equilibri dell’Unione e sulla sua identità. E’ possibile immaginare, in Italia, un’inversione di tendenza, con una ripresa della partecipazione che dalle prime elezioni europee del 1979 è scesa di quasi 27 punti percentuali?
I precedenti interni più ravvicinati non offrono indicazioni univoche. Con il 72,9% di votanti, l’affluenza nelle elezioni politiche dello scorso anno ha segnato il livello più basso delle serie storiche della Repubblica. Eppure tutti gli osservatori hanno commentato questo esito nel senso di una sostanziale tenuta rispetto alle politiche del 2013, quando si era arrivati al 75,2%.
Non c’è stato, infatti, il temuto crollo della partecipazione, a dimostrazione del fatto che la percezione della rilevanza della posta in gioco e l’ingresso di nuovi soggetti in grado di intercettare il voto anti-sistema possono efficacemente compensare gli effetti della disaffezione dei cittadini nei confronti del sistema politico. Non è un caso che in Spagna le recenti elezioni nazionali abbiano registrato un aumento dell’affluenza di oltre il 9%. Quanto al voto locale, per limitarsi ai primi mesi del 2019 la partecipazione è cresciuta nelle regionali in Sardegna e in Basilicata, mentre è diminuita in Abruzzo e anche nel piccolo test amministrativo siciliano. E’ tuttavia ragionevole ipotizzare che tali variazioni siano dovute per lo più a fattori specifici operanti nelle diverse situazioni. Peraltro anche le prossime elezioni europee (come accadde già cinque anni fa) saranno affiancate dal voto regionale (Piemonte) e da un’importante tornata amministrativa.
Ma a decidere della partecipazione sarà innanzitutto la consapevolezza dei cittadini circa il momento cruciale che l’Unione europea sta vivendo. Da un lato c’è la richiesta largamente condivisa di un cambio di marcia nelle sue istituzioni. Se infatti “in un contesto globale caratterizzato da rischi, tensioni e incertezza appare sempre più evidente il ruolo propulsivo dell’apertura del commercio, della libera circolazione e del mercato unico per l’iniziativa d’impresa, gli investimenti e la crescita”, come ha sottolineato il presidente Mattarella nel messaggio già citato, allo stesso tempo “l’accentuarsi dei divari e le difficoltà di molti cittadini europei richiedono un rafforzamento della dimensione sociale e strumenti per uno sviluppo più equilibrato, inclusivo e sostenibile”. Dall’altro lato, c’è una critica che ha raggiunto livelli di radicalità e aggressività mai visti prima almeno nella misura attuale, arrivando in certi casi a mettere in discussione i valori fondanti dell’Unione, quel modello basato su “diritti, libertà, responsabilità e solidarietà” a cui faceva riferimento il Capo dello Stato. Tale critica va spesso oltre la denuncia dei limiti e degli errori compiuti e viene alimentata attraverso campagne comunicative che veicolano una percezione dei problemi non corrispondente alla realtà. E’ una questione che investe in modo dirompente tutte le democrazie e che chiama in causa la necessità di regole all’altezza dei tempi, ma soprattutto di un sovrappiù di impegno da parte dei cittadini nel documentarsi, con un attento discernimento delle fonti e delle notizie.
In Italia, in particolare, c’è il rischio che lo scontro politico all’interno (e intorno) alla maggioranza di governo finisca per monopolizzare l’attenzione dell’opinione pubblica. Certo, in tutti i Paesi della Ue il voto del 26 maggio è destinato ad avere un impatto sugli assetti nazionali e sarebbe irrealistico immaginare il contrario, dato che i soggetti in campo sono gli stessi. Ma da qui a trasformare la consultazione europea in un referendum interno c’è una differenza sostanziale. Si vota per l’Europa e per il suo futuro.