Dobbiamo impegnarci per far sì che i nostri condomini divengano delle reti di comunione e di appartenenza
C’è tanto lavoro da fare se le assemblee condominiali sono solo rendiconti di spese o se facciamo ancora fatica a salire in ascensore con il vicino di pianerottolo.
Nel prosieguo dell’enciclica Laudato si’ il Papa richiama la necessità di partecipare tutti ad un progetto che tenga conto della crisi mondiale in tutti i suoi aspetti e sviluppi un’ecologia integrale “che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali” (LS 137). Quello che è importante considerare è che il mondo è oggi tutto assolutamente interconnesso, in un intreccio di ecosistemi da cui in ultima istanza anche noi uomini dipendiamo interamente. C’è dunque un’ecologia più direttamente dell’ambiente, ma c’è un’ecologia economica e sociale perché se tutto è in relazione “ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali” (LS 142).
Vi è poi anche un’ecologia culturale che intende tutelare il patrimonio storico ed artistico, spesso minacciato anch’esso come quello naturale. “Non si tratta – scrive il Papa – di distruggere e creare nuove città ipoteticamente più ecologiche, dove non sempre risulta desiderabile vivere. Bisogna integrare la storia, la cultura e l’architettura di un determinato luogo salvaguardandone l’identità originale” (LS 143) Chi di noi non è rimasto colpito facendo una gita in un paese di montagna da interventi architettonici che non tengono in conto del tessuto urbano in cui vanno ad inserirsi.
Case modernissime fra edifici in pietra e legno a vista, costruzioni magari ipertecnologiche ed efficientissime che però quasi precludono la convivenza degli abitanti con gli altri membri della comunità. Non solo quindi un pugno in un occhio visivamente parlando, ma anche un’interruzione nel fecondo parlarsi di casa in casa fra vicini che si riconoscono perché appartenenti alla stessa terra. Sono dunque complessi i criteri con cui si deve intervenire nel tessuto urbano e sociale di una comunità, attenti a considerare che lo scopo dello sviluppo è sempre la qualità della vita umana e non altro. Ma come misurare questa qualità di vita? Il Papa entra ancora più nel concreto: “La sensazione di soffocamento prodotta dalle agglomerazioni residenziali e dagli spazi ad alta densità abitativa viene contrastata se si sviluppano relazioni umane di vicinanza e calore, se si creano comunità, se i limiti ambientali sono compensati nell’interiorità di ciascuna persona, che si sente inserita in una rete di comunione e di appartenenza” (LS 148). Senza essere architetti, urbanisti o sociologi, come possiamo far sì che i nostri condomini divengano delle reti di comunione e di appartenenza? Dobbiamo ammettere che c’è tanto lavoro da fare se le assemblee condominiali sono solo rendiconti di spese che vanno disertati dalla maggioranza; se facciamo ancora fatica a salire in ascensore con il vicino di pianerottolo, se non conosciamo i nomi di chi ci sta accanto, con cui magari abbiamo solo discusso per un disturbo arrecato o subito.
C’è poi tanto margine di crescita perché nessuno sia solo. Con il rapido invecchiamento della popolazione, non solo sono sempre più rari i fiocchi rosa o azzurri sul portone, ma sono sempre più frequenti i casi di anziani soli nei loro appartamenti. Spesso non si tratta di necessità economiche, ma di servizi e ancor più di compagnia. Una volta ci si radunava tutti insieme attorno al fuoco a far filò… non c’erano persone escluse e anzi il ruolo dei vecchi nel trasmettere i saperi era ben definito… oggi non è più così… ma coloro che portano un piatto caldo, accompagnano a far la spesa, anche solo fanno una visita o una telefonata riannodano fili di relazioni preziose e compiono azioni di vera e propria ecologia culturale.