Da cattolici in politica. Dopo le polemiche per l’elezione di Fontana alla Camera
Cattolici e politica. Il binomio riemerge nel discorso pubblico a ogni passaggio istituzionale importante: elezioni a tutti i livelli, costituzione di un governo, scelta di un candidato sindaco… I versanti sono due.
Il primo interessa a molti: come votano i cattolici? Preannunciando che la prossima settimana su queste pagine avremo una particolareggiata analisi del sociologo (già direttore dell’Osservatorio religioso del Triveneto) Alessandro Castegnaro, passo subito al secondo versante, meno attrattivo per il complesso dell’opinione pubblica, ma non per noi: come si vivono importanti incarichi istituzionali in relazione alla propria fede? Il tema si ripresenta con l’elezione del nuovo presidente della Camera dei deputati, il veronese Lorenzo Fontana, la quale ha suscitato molte critiche, per le sue posizioni in tema di diritti civili, aborto e in generale per la sua presunta appartenenza al cattolicesimo tradizionalista. Più che di Ignazio La Russa sullo scranno più alto di Palazzo Madama, si è parlato dello stesso presidente Fontana come del simbolo della forza con cui Meloni – che proprio in questi giorni dovrebbe salire al Quirinale per ricevere l’incarico di formare il prossimo Governo – intenderebbe imporre le proprie decisioni in questa 19a legislatura che inizia nel segno del suo 26 per cento conquistato alle urne.
In molti non accettano che la terza carica dello stato sia rivestita da un esponente politico così divisivo e, come al solito, le critiche hanno valicato i confini del lecito su giornali e social network, invadendo la sfera privata dell’ex ministro per la Famiglia del Governo Conte 1. Se ci occupiamo di questo tema è solo perché il segretario della Lega, partito di Fontana, ha pensato di rispondere alle critiche piovute sul suo fedelissimo con un «non è mica una colpa essere cattolici». Non è una colpa, ci mancherebbe. E tuttavia è ipotizzabile che, se il nuovo presidente di Montecitorio risulta indigesto a parte della popolazione, l’utilizzo dei simboli religiosi per fini politici che lo stesso Matteo Salvini ha messo in campo negli ultimi anni non sia del tutto estraneo alla cosa. Nessuno può dare patenti di cattolicità, né dettare una linea di comportamento per i credenti eletti in Parlamento, Consiglio regionale, Consiglio comunale. Eppure ci sono quattro punti su cui pensiamo potrebbe misurarsi una testimonianza cristiana nelle istituzioni.
Il primo è la ricerca di dialogo, dentro e fuori dalla propria forza politica, fino anche allo sfinimento. Questo presuppone alta considerazione per le opinioni e gli argomenti altrui. Presuppone perfino che l’altro possa avere ragione. Altrimenti non esiste vero dialogo, ma solo un parlare a vuoto per arrivare alla fine ad avere ragione a ogni costo: così forse si governa, ma non si costruisce. Il secondo punto: l’onestà intellettuale, l’apertura a ogni interlocutore scevra da pregiudizi. Nessuno è rappresentato solo dalle posizioni espresse dal proprio gruppo di appartenenza e neppure dalle posizioni prese in passato. Le persone evolvono, cambiano idea in base alle proprie esperienze, vanno accolte in verità, senza pensare di aver capito già tutto di loro, anche se sono avversari politici. Il terzo passaggio ha a che fare con la competenza e l’ingenuità. È evidente che a guidare la politica ci sono gli interessi e questo non è un male di per sé, il progresso passa anche da qui. Occorre però sapere quali sono questi interessi in campo, vedere oltre le posizioni ufficiali e i discorsi di facciata e provare a orientare per il bene la dinamica istituzionale.
L’esperienza e la competenza battono l’idealismo. Ragionare con la propria testa aiuta a votare il meglio possibile, anche accettando di essere emarginati all’interno del proprio partito perché non si è seguito il diktat del capogruppo. Infine, uno stile di testimonianza, che ci suggerisce il brano del Vangelo di questa domenica: il fariseo che prega in piedi autoincensandosi e il pubblicano che chiede perdono senza coraggio di alzare lo sguardo a Dio. Una persona vicina a Gesù, prima che da altisonanti professioni di fede, la si percepisce dal carisma, dall’umiltà, dallo sguardo, dalle relazioni che sa impostare.