La classe media della santità

L'intervento mensile di don Carlo Broccardo sulla santità. Sono preghiere in cui possiamo presentare a Dio anche quel che non ci piace di noi.

La classe media della santità

In uno dei primi numeri della Gaudete et exultate, il papa Francesco parla della santità usando due immagini curiose, di quelle a cui ormai ci ha abituati, quelle che rimangono impresse senza fatica. Dice che a lui piace la santità “della porta accanto”; la “classe media della santità”. «Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente», scrive il papa; «nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”».

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È una riflessione proprio adatta al tempo ordinario che stiamo vivendo, in queste settimane tra il Natale e la Quaresima. Anzi, forse è meglio scrivere anche “Ordinario” con la maiuscola, per ricordarci che è proprio la vita di tutti i giorni quella in cui viviamo la santità.

Pensando a qualche personaggio della Bibbia che ha vissuto questa dimensione della santità, non me ne viene in mente nessuno in particolare. Piuttosto, vorrei fermarmi su alcune frasi dei Salmi; il Salterio, cioè il libro dei Salmi, è una raccolta di 150 preghiere che hanno accompagnato il popolo di Israele lungo i secoli. Anche Gesù pregava con i Salmi. Ma avete mai fatto caso a quanti sentimenti diversi ci sono in queste preghiere?

C’è il Sal 22, per esempio, che esprime una fiducia profonda in Dio, che si prende cura di noi: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me». Ma c’è anche il Sal 21, che inizia con parole cariche di angoscia: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me».

Ci sono le parole dettate dalla solitudine piena di tristezza del Sal 86: «Hai allontanato da me amici e conoscenti, mi fanno compagnia soltanto le tenebre»; così come la gioia incontenibile del Sal 148: «Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell’alto dei cieli. Lodatelo, sole e luna, lodatelo, voi tutte, fulgide stelle. Lodate il Signore dalla terra, fuoco e grandine, neve e nebbia, monti e voi tutte, colline, alberi da frutto e voi tutti, cedri, voi, bestie e animali domestici, rettili e uccelli alati. I re della terra e i popoli tutti, i governanti e i giudici della terra, i giovani e le ragazze, i vecchi insieme ai bambini lodino il nome del Signore».

Ci sono anche quei Salmi che nella liturgia non abbiamo il coraggio di leggere (oppure ne leggiamo una versione tagliata), perché esprimono sentimenti inconfessabili, come l’odio pieno di vendetta verso coloro che ci hanno fatto del male: «Figlia di Babilonia devastatrice», dice il Sal 136, «beato chi ti renderà quanto hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra».

I Salmi sono un concentrato di tutte le esperienze di una vita (e forse una vita sola non basta!). Ma specialmente, sono preghiere rivolte a Dio; preghiere nelle quali possiamo darci il diritto di esprimere a voce alta quello che c’è nel nostro cuore; possiamo portare a Dio la nostra vita, quella vera, anche quella che non ci piace e non vorremmo trovare dentro di noi.

I Salmi sono la preghiera di quella classe media della santità che ogni giorno vive la vita, ne attraversa le gioie e i dolori, e nella verità lascia che tutto emerga davanti a Dio. Con la fiducia che il Signore accoglie, purifica, rinnova.

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