«Vorrei un adulto accanto a me»
Quant'è bella giovinezza. "Appello" alle parrocchie. È se un’equipe di giovani e adulti curasse la pastorale giovanile in parrocchia?
«Testimoni credibili, stabili, sereni, coerenti». Sono quattro aggettivi su cui i 160 giovani dell’Assemblea sinodale hanno discusso a lungo nelle sessioni plenarie del Sinodo, prima di approdare al testo definitivo della Lettera alla Chiesa di Padova. Qualche adulto ha commentato con disappunto che i giovani vorrebbero dei superman, che la richiesta è troppo alta. Ma questo, lo dicono chiaramente i nostri giovani, è un compito per tutti, giovani e adulti, che nasce dalla riscoperta della «gioia che riempie l’esistenza di chi incontra Gesù e il dono del Battesimo» (1,1). Lo scrivono con quella presunzione che si ha solo a vent’anni e con quella sete di radicalità che forse dopo i trenta rischia di spegnersi; lo affermano ricordando le parole del papa alla Gmg di Cracovia e l’ormai celebre immagine della “divano-felicità”.
In una delle serate di presentazione del Sinodo, due anni fa, mi ha colpito una ragazza che, di fronte alla mia domanda – «Ma voi, cosa chiedereste a un adulto della vostra parrocchia?» – mi ha risposto semplicemente appoggiando il palmo della mano sulla sedia vuota alla sua sinistra: «Vorrei che fosse seduto qui, accanto a me, adesso».
I giovani hanno bisogno di adulti che si facciano loro compagni nel cammino tutto in salita verso la scoperta della propria identità e del proprio posto nella vita; che li sappiano ascoltare nelle loro domande senza l’ansia di fornire risposte al millesimo di secondo come ci ha abituato Google; che li sostengano nel loro servizio educativo in parrocchia; che li incoraggino con l’esempio trainante di una vita buona e di una fede gioiosa e salda, vissuta nel quotidiano degli affetti e del lavoro. È una questione centrale, che ogni comunità si dovrebbe porre quest’anno: chi nella nostra comunità è in grado di accompagnare i giovani?
Molte comunità potrebbero già rispondere positivamente a questa domanda. Bando però alla delega in toto al solo prete di turno, al presidente dell’Azione cattolica parrocchiale o all’animatore venticinquenne! Tutti gli adulti della comunità con la loro stessa presenza (o assenza), con la loro fede e la loro umanità sono nei fatti modello per i più giovani; a questa visione del resto ci ha educato ormai da anni anche il rinnovato percorso dell’iniziazione cristiana. Resta però il dato di fatto che alcuni all’interno della comunità sono chiamati a svolgere questo ministero in maniera più diretta. E se questi adulti non ci sono, se tutto è (ancora) in mano del solo parroco o dei sempre più rari cappellani, un compito per casa necessario è che il consiglio pastorale eserciti il discernimento per individuare qualcuno (più di uno!) all’interno della comunità. Una pastorale giovanile basata sul solo prete è fallimentare.
Non si tratta di un vuoto da riempire ma di una scintilla di vocazione da riconoscere e far maturare: la vocazione, intrigante e paziente, di camminare al fianco dei giovani, in particolare accanto agli educatori e a quei giovani che sono presenti in parrocchia, senza dimenticare le 99 pecorelle che sono “fuori dal recinto”. Non è solo uno sforzo di “reperimento risorse”, ma è alla base di un rinnovamento più globale di cosa vuol dire mettere in pratica una cura dedicata ai giovani (pastorale dei giovani).
È possibile un’equipe di giovani (anche trentenni) e di adulti, adeguatamente formati per tale missione, che curino la pastorale giovanile insieme con il parroco e in stretto coordinamento con il consiglio pastorale? Dare una risposta a questa domanda: un bel “compito per casa” per quest’anno pastorale.