Al centro c'è il giovane, non le nostre proposte
Quant’è bella giovinezza. Ricca in Diocesi l’offerta formativa per i giovani. Ma... siamo capaci di accompagnarli a scegliere? Oppure ce li contendiamo?
Approfittando dei saldi, qualche tempo fa sono entrato in un grande negozio di scarpe: una scelta vastissima, modelli di ogni tipo, prezzi per qualsiasi tasca. Ho vagato per due-tre volte tra gli scaffali, senza però trovare nulla che facesse al caso mio. O meglio, qualche idea in testa ce l'avevo prima di entrare – cercavo delle scarpe leggere, economiche, nere, non troppo eleganti – ma di fronte a tutta quell’offerta mi sono sentito confuso, spaesato, perso. E non c'era nessuno che mi potesse aiutare perché di solito in questi grandi magazzini vige il fai-da-te e di commessi non si vede nemmeno l'ombra.
Prima dell'estate, incontrandoci tra realtà diocesane che si occupano di giovani, abbiamo messo nero su bianco (quasi) tutte le attività che avremmo proposto in quest'anno pastorale. E la sensazione che ho avuto è stata molto simile a quella dentro al negozio di scarpe: tante opzioni, di ogni tipo, per ogni esigenza; dalle proposte spirituali a quelle formative per educatori, da quelle con profilo biblico a quelle missionarie,... È una ricchezza grande, che non tante altre Diocesi possono vantare. Ma forse per i nostri giovani (il target in fondo è sempre quello!) questo andazzo non aiuta.
In ambito commerciale si parla di "personal shopper", un'intrigante figura che ha il compito di seguire il cliente e aiutarlo a scegliere il prodotto "pensato" per lui. Niente di nuovo sotto il sole per noi italiani abituati, forse più in passato, a essere accompagnati negli acquisti, grazie a delle figure di commessi un po’ mamme e un po’ complici, che ti capivano al volo e ti presentavano delle proposte mirate per i tuoi gusti, la tua personalità e il tuo budget.
Come adulti che accompagnano i giovani, dovremmo affinare questa capacità nell’accompagnare i giovani, aiutandoli a destreggiarsi nell'ampia scelta dell'“outlet” di proposte giovanili delle nostre parrocchie, dei vicariati, della Diocesi (senza contare le proposte dei movimenti e dei religiosi!), senza accaparramenti o campagne di conquista, senza l'ansia dei numeri. L'obiettivo fondamentale è mettere al centro il giovane e non le nostre proposte, il suo bene e non i nostri cataloghi, la vivibilità della sua agenda e non il bilancio dei nostri “registri-presenze”. Questo ci chiama a un lavoro di squadra su più livelli, tra parrocchie e diocesi, tra uffici di curia in primis, con i religiosi, i movimenti e le associazioni.
Da quale domanda partire? Domandandoci progettualità e quale idea di formazione abbiano in mente, quali potrebbero essere delle esperienze "curriculari" e irrinunciabili (per esempio un'esperienza di volontariato o missionaria o il gruppo vocazionale diocesano). Altrimenti rischiamo di considerare i giovani (quelli in parrocchia, che comunque sono una piccola minoranza) come l'assalto alla diligenza nel far west! Ma un attacco sferrato da diverse tribù di indiani che nemmeno si parlano tra loro! E con l’effetto, rischioso, di un disorientamento, come l’ho provato io in quel negozio di scarpe...
Come mi ha raccontato un ragazzo chiamato a parlare del Sinodo nel suo vicariato, al termine dell'incontro il responsabile Caritas gli ha proposto di fare il volontario al centro di ascolto, il giovane cappellano di partecipare al gruppo giovani, il presidente dell'Ac vicariale di iscriversi al weekend diocesano... E nessuno ha pensato – come mi ha raccontato – che una vita bella piena ce l'aveva già e già da tempo pensava di "tagliare" proprio per l'intasamento dell'agenda.