Scuola: ultima ora virtuale. Tre parole chiave per la pandemia
Cosa succederebbe se iniziassimo a coltivare solo sogni straordinari?
Ultimo giorno di lezione nell’anno della pandemia. Nella classe virtuale ci si attarda, prima dei saluti finali, nel voler tirare un bilancio, seppur provvisorio, di quanto ci siamo ritrovati a vivere in questi mesi. Come sempre all’inizio si oscilla tra due estremi: “è stato tutto pazzesco” e “in fondo non è cambiato molto”. Poi finalmente, scendono in campo le pensose seconde linee e pian piano cominciano a emergere tre parole chiave, attorno alle quali si aggregano emozioni, pensieri, propositi per il futuro.
Parole che hanno la cifra del frammento: indicano una possibilità, un cammino interrotto. Parole che chiedono di farsi concrete: sogni da condividere, processi da avviare, scelte da compiere. Con il coraggio di osare.
La prima parola, che ha una valore tutto particolare durante la giovinezza, è “fragilità”. In questi mesi ci siamo sentiti tutti profondamente vulnerabili. Tutto ciò che faceva parte della nostra vita o che ci circondava si è arrestato: gli impegni, i progetti, i desideri sono stati azzerati. Abbiamo avuto paura per noi e per chi ci stava intorno. Chiusi in casa, eravamo incollati agli schermi che tenevano il conteggio dei malati e dei morti. Abbiamo scoperto all’improvviso di stare «come d’autunno / sugli alberi / le foglie». Non è vero che siamo i padroni del nostro destino, che basta volerlo. «Non siamo noi che scriviamo lo spartito – rifletteva Giovanna, la musicista – ma forse sta a noi scegliere come interpretarlo». Questa pandemia ci ha imposto una profonda lezione di umiltà, di cui dovremo far tesoro; ma ci ha anche fatto riscoprire che è proprio la nostra fragilità a renderci preziosi e destinatari di continua attenzione e cura. «E allora perché non siamo stati previdenti? - brontola Francesca - perché abbiamo ridotto le terapie intensive? Perché non si trovavano le mascherine? Forse perché non conveniva economicamente?».
La seconda parola è “distanza”. In questi mesi ci siamo difesi da un nemico sconosciuto e di conseguenza imprevedibile. Gli strumenti della conoscenza, in primo luogo la scienza, non hanno potuto offrire rimedi sicuri e risolutivi. Ha prevalso il principio di cautela, che poi si è tradotto in chiudiamo tutto e restiamo a casa. Incertezza nei tempi: fino a quando? E incertezza nelle modalità di contagio, che ha generato un dover tenere le distanze, anche nei legami affettivi e amicali. Una distanza obbligatoria che se da un lato ha reso un po’ tutti diffidenti, dall’altro ha fatto cogliere l’importanza e la bellezza del contatto fisico, anche solo dell’essere in presenza. «Come puoi dire a una persona cara ti sono vicina con il solo pensiero?», testimoniava Giorgio, che ha avuto la mamma ricoverata. La sofferenza della distanza ci ha lasciato un piccolo regalo, togliendo alla corporeità ogni alone di banalità e di mera strumentalità: il corpo, nostro e degli altri, non è un oggetto da possedere, ma una persona da incontrare.
L’ultima parola, forse perché freschi d’interrogazioni di scienze umane, è “desiderio”: il fuoco vivo che muove le nostre azioni. Solo il desiderio ha la forza di generare un reale cambiamento, che altrimenti rimane un velleitario proposito. Questa lunga quarantena ci ha caricato di tante attese, le quali possono aiutare ad allargare e purificare il nostro desiderare. Cosa succederebbe se nella prossima fase rinunciassimo a perseguire modesti desideri, che arrivano solo fin là e cominciassimo a coltivare, trafficare, edificare solo sogni straordinari? «Tipo un mondo più migliore, prof?» conclude Mario.