T come temperanza. Giusto equilibrio tra capire e sentire
Per i politici è una virtù importante, per i cittadini è indispensabile
Erano giovani e pieni di entusiasmo. Mi esposero il loro programma politico, poi mi chiesero qualche consiglio. Avevano deciso di candidarsi per le amministrative del loro piccolo Comune. Non volevano nascondere niente ai loro concittadini. Trasparenza, descrivere come stavano realmente le cose, non fare promesse irrealizzabili: questo, in sintesi, il loro programma. Le proposte che avevano in mente per il loro territorio, invece, si radicavano sui principi della dottrina sociale della Chiesa: persona, bene comune, solidarietà, sussidiarietà, partecipazione.
Si attendevano da me una conferma e un incoraggiamento. L’incoraggiamento non è mancato; riguardo alla conferma, non ho nascosto le mie riserve, che per brevità sintetizzo così: «Con questo programma politico non entrerete in consiglio comunale!».
Stupiti e delusi dalla mia risposta, hanno cominciato a interrogarmi: perché proprio io che li avevo introdotti nel mondo dell’insegnamento sociale della Chiesa non credevo nel loro progetto? Allora tutte le proposte della Chiesa in ambito sociale sono solo delle belle utopie, delle idee irrealizzabili?
La questione, risposi, non sono i programmi, le idee e le persone che li incarnano, ma il sentire dei cittadini a cui questi programmi sono rivolti e, soprattutto, ciò che questi vogliono sentirsi dire prima di investire un amministratore della loro fiducia. Ognuno di noi si aspetta che un politico presenti con chiarezza e onestà il suo programma. Insieme a questo, però, chiediamo che sappia toccare anche le corde del nostro cuore; non siamo solo ragione, ma anche passione.
Non ci basta che le promesse politiche fatte in campagna elettorale siano più o meno realizzabili: per attirare la nostra attenzione – e il nostro consenso – un politico deve saper farci sognare. Paradossalmente, chiediamo che ci dica cose che sappiamo già non potrà realizzare (milioni di posti di lavoro; meno tasse; meno burocrazia…), ma vogliamo che le dica lo stesso: non di sole certezze vive l’uomo, ma anche di qualche consapevole illusione!
Questo perché non siamo solo esseri razionali, freddi calcolatori, riflessivi su tutto, ma anche irrazionali, impulsivi, abbiamo una parte di noi che è passionale, intuitiva e anche questa vuole la sua parte prima di dare il consenso.
Sentiamo che nelle grandi scelte della vita – e votare è una scelta importante – non possiamo affidarci solo alla testa (razionalità), ma nemmeno solo alla pancia (emotività): c’è bisogno di un giusto equilibrio, una via di mezzo tra il capire e il sentire. Entrambe sono necessarie, non solo per vivere, ma anche per realizzare il bene comune. La virtù della temperanza è il giusto equilibrio fra queste due realtà. Se per un politico questa è una virtù e importante, per il cittadino è indispensabile, purché voglia essere protagonista della vita pubblica e non semplicemente uno spettatore o un cliente.
La temperanza aiuta ad arginare le passioni, senza però annullarle, perché sono la benzina dell’agire. Il bravo politico sa parlare alla testa e nello stesso tempo sa scaldare anche il cuore dell’elettorato. Se parla solo alla parte razionale del cittadino, è un freddo burocrate e non riscuote molta simpatia. D’altronde, se parla alla sola parte emotiva, diventa un pericolo per la democrazia, perché considera i cittadini alla stregua di bambini capricciosi che hanno sempre bisogno di nuovi stimoli per non annoiarsi.
Per finire, nessuno dei miei giovani amici è entrato in consiglio comunale… purtroppo!