Ritirati. Una ricerca del Cnr e gruppo Abele sul fenomeno dei giovani Hikikomori italiani
Sarebbero circa 54mila i ragazzi che hanno dichiarato di essersi ritirati dalla vita sociale per almeno 6 mesi.
Siamo sempre in prova nel palcoscenico della vita ci è chiesto di offrire le nostre performance, di indossare maschere per interpretare negli spazi sociali i nostri ruoli in modo originale e particolare, ma dentro cornici che hanno regole comportamentali e abitudini consolidate – agiamo in accordo o in disaccordo con esse. Infondo così comunichiamo e ci rendiamo comprensibili. Affrontare gli altri, entrare in contatto con le persone che frequentano i posti quotidiani: la casa, la scuola, la palestra… sembrerebbero pratiche faticose, impegnative per alcuni ragazzi e ragazze. All’improvviso rinchiudersi nella propria solitudine, allontanarsi da tutti appare una pratica che ha iniziato a diffondersi in Giappone, ma che sta prendendo piede anche in altre parti del mondo, nella stessa Italia.
“Vite in disparte” è la prima indagine in Italia sul ritiro sociale volontario della popolazione studentesca, condotta dal CNR con il gruppo Abele. Sarebbero circa 54mila i ragazzi che hanno dichiarato di essersi ritirati dalla vita sociale per almeno 6 mesi. Però gli adolescenti a rischio sarebbero ancora di più, perché altri 450mila hanno attuato un comportamento simile per 1-3 mesi. Si autoescludono dalla vita sociale e chiusi nella loro cameretta ascoltano musica (64%), frequentano i social (49,8%), passano il tempo dormendo (45,5%) giocano online (38% tra i maschi l’attività è al 59%). Gli studiosi giapponesi li chiamano Hikikomori. Questo comportamento antisociale per ora non è considerato una malattia. Perciò gli studiosi ci avvisano che per misurarlo l’unico dato oggettivo è la certificazione di “ritiro sociale” rilasciata dalla Asl. Tramite questa si può verificare anche un’altra dimensione del problema: l’abbandono scolastico.
Quando dei giovani si trovano in questa situazione diventa fondamentale il sostegno del mondo degli adulti per scardinare il lucchetto che hanno messo alla porta della loro cameretta, per iniziare prima ad entrare lì, dentro quella loro confort zone, in modo poi di prenderli per mano e aiutarli a recuperare la socialità. Non è così semplice, innanzitutto perché a volte gli adulti non se ne accorgono: i dati mostrano che il 26% dei genitori non capisce e un altro 19,2% trascura il fenomeno; mentre il 27% degli insegnanti non se ne accorge. Ci sono fortunatamente delle pratiche inserite nei piani formativi di alcune scuole per recuperare questi studenti e sono all’insegna della gradualità: dalla proposta della didattica a distanza alla didattica in presenza in orario extrascolastico, dalla didattica in orario scolastico ma in altri locali al sostegno didattico alla famiglia. Però andrebbero trovati anche strumenti per sostenere i genitori che si trovano ad affrontare la sfida di un figlio che si abbandona alla sua solitudine.