Regno Unito, Boris Johnson è il nuovo premier. Longley (The Tablet), “non guarirà le divisioni nella nazione”
Nato a New York 56 anni ha studiato nelle migliori università inglesi inizia la carriera (non senza incidenti) da giornalista. Nel 2001 a Westminster, nel 2008 sindaco di Londra, rieletto nel 2012. Torna a Westminster nel 2015, guida la campagna per il referendum a favore del Brexit, vince e Theresa May lo chiama a fare il ministro degli esteri. Lascia nel 2018. Poi è storia di questi giorni: la candidatura per guidare i Tory e l'ennesima vittoria
Boris Johnson arriva a guidare il Paese perché scelto a guidare il partito Tory, dopo le dimissioni (e il fallimento) di Theresa May come leader e come Premier. Nelle “primarie” dei conservatori, a cui hanno partecipato i circa 160 mila membri del partito, Johnson è stato scelto dal 66% di loro. La regina non ha potuto quindi che affidare a lui il governo del Regno. Johnson corona così il suo sogno di diventare premier e come il suo modello Winston Churchill, ha varcato la famosa “porta nera”, al numero 10 di Downing street. Nato a New York 56 anni ha studiato nelle migliori università inglesi inizia la carriera (non senza incidenti) da giornalista. Nel 2001 a Westminster, nel 2008 sindaco di Londra, rieletto nel 2012. Torna a Westminster nel 2015, guida la campagna per il referendum a favore del Brexit, vince e Theresa May lo chiama a fare il ministro degli esteri. Lascia nel 2018. Poi è storia di questi giorni: la candidatura per guidare i Tory e l’ennesima vittoria.
“Boris Johnson ha vinto con il sostegno di meno di 100 mila membri non rappresentativi del partito conservatore, promettendo tagli alle tasse per i ricchi, presentandosi come amico dei banchieri e sostenendo un dannoso Brexit senza accordo”, ha subito contestato il leader laburista Jeremy Corbin. “Non ha però vinto il sostegno del nostro Paese”, dal momento che “dovrebbero essere i cittadini in questo Paese a decidere chi deve diventare primo ministro con un’elezione”. “In realtà – spiega al Sir Clifford Longley, editorialista del periodico cattolico The Tablet – Johnson altro non è che il prodotto del sistema di partito britannico”. L’alternativa di eleggere un primo ministro con il voto di tutto l’elettorato può produrre un primo ministro fuori passo rispetto al proprio partito” con tutte le complicazioni che questo può ingenerare.
Emblematico il suo primo discorso da Primo Ministro, pronunciato prima di fare ingresso al 10 di Downing street: undici grintosi minuti, come nel suo stile, su una colonna sonora di fischi e contestazioni provenienti da oltre il recinto di sicurezza.
Un discorso non certo privo di frasi retoriche (“il mio lavoro è servire voi, il popolo, perché il popolo è il mio capo”). E poi un lunghissimo elenco di punti programmatici per il futuro governo: dalla sicurezza per i cittadini con la promessa di circa 20 mila agenti di polizia in più per le strade, ai processi più rapidi; dalle nuove risorse alla sanità “per proteggere le persone dalla paura” di dover vendere la casa per pagare le cure mediche all’impegno di risolvere la crisi dell’assistenza sociale. E ancora. Dal garantire istruzione di qualità per tutti i bambini del Paese all’aumento dei salari al rilancio della produttività, del commercio e quindi della fiducia degli investitori. Nell’elenco delle cose che farà anche la modifica della fiscalità per favorire investimenti e “la promozione del welfare per gli animali”. “Sarò primo ministro di tutto il Paese”, ha promesso, con l’obiettivo di “unire” e difendere i valori di libertà, stato di diritto e democrazia che stanno al cuore della storia britannica. Poi ovviamente il punto sul Brexit: decisione del popolo, da rispettare”; darà la possibilità di creare “una nuova e migliore partnership con l’Ue”. Nel caso di una uscita senza accordo, “accelereremo i preparativi” e i disastri annunciati “saranno meno pesanti di quanto profetizzato”.
“Boris Johnson sembra fare affidamento su un ‘trionfo della volontà’ quasi nietzscheano, come se il volere fortemente qualcosa potesse superare ogni difficoltà” commenta Longley.
“La sua retorica churchilliana non convincerà Bruxelles a muoversi di un millimetro. Deve avere un piano”.
Certo Johnson ha cominciato subito a lavorare con energia, licenziando 17 ministri e formando un nuovo gabinetto: una “carneficina” è stata definita dai giornali inglesi. “Questo è il gabinetto più di destra e tatcheriano di qualsiasi altro sia stato visto dall’inizio degli anni ’90”, l’analisi che ne fa Longley. “Non guarirà le divisioni nella nazione”. La prima a essere ora pronta alla rottura è la premier scozzese Nicola Sturgeon: “Non c’è dubbio che Brexit rende l’indipendenza scozzese più probabile”, ha ribadito dopo il discorso di Johnson. Si sa, la Scozia non vuole lasciare l’Ue.
In realtà Longley si dice “per nulla convinto che lasceremo. Potrebbe benissimo succedere qualcosa per cui non lo facciamo”.
Bruxelles: ha subito spedito i messaggi di prassi per le congratulazioni e gli auguri al nuovo premier. Donald Tusk per il Consiglio, Jean Claude Junker per la Commissione e Michel Barnier, capo negoziatore della Commissione per il Brexit hanno tutti detto di essere in attesa di “poter lavorare costruttivamente” con Boris Johnson. Ma nessuno ha detto che l’accordo si possa rinegoziare. Saranno 99 giorni interessanti, su questo non c’è dubbio.
Intanto l’arcivescovo anglicano di Canterbury, Justin Welby, con un tweet, ha sollecitato “preghiere” per Boris Johnson e per il governo: “Saggezza e coraggio in questo tempo di grandi sfide”, chiede Welby a Dio, mentre “lavoriamo per costruire una visione condivisa per il futuro del nostro Paese e per tutto il suo popolo” . Dai vescovi inglesi una dichiarazione riferita da un portavoce: “I prossimi mesi saranno straordinariamente impegnativi. Non vediamo l’ora di lavorare con il governo in ambiti in cui noi lavoriamo da molto tempo, in particolare le scuole, la riforma carceraria e l’assistenza agli emarginati e alle persone vulnerabili”.