Istat: diminuiscono gli abbandoni precoci degli studi, ma crescono i Neet

Rapporto sulla situazione del Paese. Nel 2020 l’incidenza degli abbandoni si è ridotta notevolmente ma siamo ancora lontani dalla media Ue, mentre sono 2,1 milioni i giovani di 15-29 anni che non studiano e non lavorano, in aumento di un punto percentuale rispetto al 2019. A complicare il quadro gli effetti della pandemia sulla partecipazione scolastica

Istat: diminuiscono gli abbandoni precoci degli studi, ma crescono i Neet

Diminuisce la percentuale dei giovani che abbandonano precocemente gli studi senza aver conseguito un diploma o una qualifica, ma aumentano i Neet e le prospettive per coloro che sono fuori da un percorso scolastico o formativo e non hanno un lavoro sono ancora particolarmente difficili. A sottolineare le ampie diseguaglianze territoriali e le difficoltà causate dalla discontinuità della didattica in presenza degli ultimi tempi è il Rapporto annuale sulla situazione del paese dell’Istat.  Secondo il rapporto, nel 2020, il 13,1% dei giovani di 18-24 anni ha abbandonato precocemente gli studi avendo raggiunto al massimo la licenza media. Nonostante l’incidenza degli abbandoni si sia ridotta notevolmente (era quasi il 20% nel 2008), in particolare nel Mezzogiorno, dove tuttavia è ancora al 16,3% contro circa l’11% del Centro-nord, le percentuali nazionali risultano ancora al di sopra della media europea che nell’Ue a 27 è al 10,1%. La crisi legata alla pandemia, inoltre, ha contribuito alla diminuzione del tasso di occupazione dei giovani di 18-24 anni con abbandoni precoci (dal 35,4% del 2019 al 33,2% del 2020) e all’aumento nella stessa fascia di età dei giovani con abbandoni precoci che vorrebbero lavorare (da 48,1% a 48,9% in Italia e da 33,3% a 35,6% in media europea). “Questi giovani risultano particolarmente svantaggiati nel Mezzogiorno, dove la quota di occupati non va oltre il 23,3% - si legge nel rapporto - contro oltre il 40% del Centro-Nord”.  Possedere un titolo di studio più elevato, spiega l’Istat, aumenta la partecipazione e le probabilità di essere occupati. “Anche nel 2020, con il manifestarsi degli effetti della crisi sanitaria, investire in istruzione ha mantenuto un carattere protettivo rispetto al rischio di perdere l’occupazione - si legge nel rapporto -. Nel 2020 il tasso di occupazione dei laureati fra i 25 e i 64 anni di età si è infatti ridotto meno rispetto a quelli dei diplomati e di chi ha conseguito al massimo la licenza media. Tuttavia, a beneficiare di tale effetto protettivo sono stati quasi esclusivamente i laureati uomini”. L’Italia, inoltre, risulta in ritardo rispetto agli altri paesi della Ue27 soprattutto per la formazione universitaria. Secondo il rapporto, appena il 20,1% delle persone di 25-64 anni risulta aver conseguito un titolo terziario, contro il 32,5% nella Ue27. Non solo. Il nostro Paese si colloca al penultimo posto nella graduatoria Ue27 per quota di laureati tra i giovani 30-34enni (27,8% contro 40% della media europea). Un gap con il resto d’Europa che riguarda anche le donne (34,3% di laureate in Italia contro 46,2% della Ue27).  Nel complesso risultano iscritti all’università, in qualunque anno di corso o ordinamento, quattro giovani su dieci (di 19-25 anni), mentre risulta bassa l’incidenza delle lauree in discipline Stem (science, technology, engineering and mathematics), per la scarsa iscrizione a questi gruppi di laurea. “L’Italia, con il 15,5 per mille di individui di 20-29 anni laureati Stem - si legge nel rapporto -, è sotto la media europea di 4,1 punti per mille nel 2018, stabile rispetto al 2014. La distanza è particolarmente ampia con paesi come la Francia (26,6 per mille), il Regno Unito (25,2 per mille) e la Spagna (21,5 per mille). Il differenziale è maggiore per gli uomini (-7,2 punti per mille rispetto all’Ue27), ma anche considerando le donne il gap con il resto d’Europa non si riduce”.  Preoccupante il saldo tra i giovani che decidono di andare all’estero e quelli che scelgono di tornare. “Tra il 2008 e il 2020 i giovani italiani di 25-34 anni che si sono trasferiti all’estero hanno superato quelli che sono tornati - spiega l’Istat -, con una perdita netta complessiva per l’intero periodo di 259 mila: 93 mila con al più la licenza media, 91 mila diplomati e 76 mila laureati. In termini relativi, i tassi di emigrazione e immigrazione riferiti all’intero periodo sono più elevati per chi possiede bassa (fino a licenza media) o alta istruzione (laurea) rispetto ai diplomati. A partire dal 2008 c’è stato un costante ampliamento dei tassi netti annui di migratorietà. Lo squilibrio tra uscite e rientri è maggiore per chi ha bassa istruzione e per i laureati, soprattutto se maschi”.  Nel 2020, inoltre, sono 2,1 milioni i giovani di 15-29 anni non più inseriti in un percorso scolastico o formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa (i cosiddetti Neet) pari al 23,3% dei giovani di questa fascia di età in Italia (in aumento rispetto al 22,1% del 2019) e a circa un quinto del totale dei Neet europei. “L’incidenza è maggiore tra gli stranieri (35,2% contro 22,0% degli italiani), nel Mezzogiorno (32,6% contro 16,8% nel Nord), tra le donne (25,4% contro 21,4% degli uomini) e aumenta con l’età (31,5% tra 25-29 anni contro 11,1% tra 15-19 anni) - si legge nel rapporto -. Tra i giovani che si trovavano nella condizione di Neet nel 2019, sette su dieci lo sono ancora 12 mesi dopo”. Ad aver influito sulla formazione dei giovani anche gli effetti della pandemia sulla partecipazione scolastica. Secondo il rapporto tra aprile e e giugno 2020, l’8% degli iscritti (600 mila studenti) delle scuole primarie e secondarie non ha partecipato alle video lezioni, con un minimo di esclusi al Centro (5%) e un massimo nel Mezzogiorno (9%). Percentuali più alte per gli alunni con disabilità. Secondo l’Istat quelli che non hanno partecipato alle video lezioni raggiungono il 23,3% (29% nel Mezzogiorno) rispetto al 7,9% degli studenti senza disabilità. “Le difficoltà di partecipazione sono spiegate dalla gravità della patologia (27%) - si legge nel rapporto -, da difficoltà organizzative familiari (20%) e da condizioni di disagio socio-economico (17%), mentre ha pesato meno la mancanza di strumenti tecnologici e didattici specifici (9%)”. Eppur l’inclusione scolastica di bambini e ragazzi con disabilità iscritti nelle scuole italiane risulta in crescita negli ultimi anni soprattutto nella scuola secondaria superiore: complessivamente sono 249 mila nel 2019, da 174mila nel 2009. Il calo della partecipazione scolastica dovuto alla pandemia riporta il tasso di presenza sui livelli di quattro anni fa.  Secondo le famiglie italiane, la sospensione della didattica in presenza tra marzo e giugno 2020, per quattro studenti (fino a 14 anni) su dieci ha comportato l’abbassamento del rendimento scolastico (uno studente su quattro), l’irritabilità o il nervosismo (quasi uno su tre), disturbi alimentari o anche del sonno e paura del contagio (uno su dieci). La ripresa dell’anno scolastico 2020-2021 tra gli iscritti con meno di 14 anni è avvenuta solo a distanza per il 13,9%, in modalità mista per il 17,5% e solo in presenza per il 68% circa.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)