Europa. Un voto la può frantumare
Nel 2019 si rinnoverà il Parlamento dell'Unione Europea: la crescita delle forze populiste, la crisi di quelle popolari e socialiste. Quelle del prossimo anno saranno elezioni decisive in uno scenario in cui i partiti nazionali guardano spesso con ostilità all'Ue. È cresciuto moltissimo il sentimento nazionalista, la voglia di non delegare poteri e funzioni, ma di riportarsele a casa.
Il 2019 sarà un anno decisivo per l’Europa unita: si rinnoverà il Parlamento, finora dominato da due famiglie politiche, i popolari e i socialisti. Nel frattempo, il continente è cambiato e non nel verso di una maggiore coesione. A Budapest, Praga, Bratislava, Varsavia, Lubiana, Vienna, e oggi anche a Roma sono al governo forze politiche che con l’Ue hanno un rapporto conflittuale. I partiti populisti non ce l’hanno fatta a sfondare in Francia, Germania, Olanda, ma hanno fortemente accresciuto il loro peso elettorale a danno soprattutto dei partiti che gravitano attorno ai popolari, mentre il fronte socialdemocratico si è sostanzialmente liquefatto.
Così le prossime elezioni sancirà lo spariglio della situazione attuale. E, probabilmente, le forze antieuropeiste avranno un peso ben diverso in Parlamento, con tutto ciò che ne può conseguire. Ma nascerà una famiglia “populista” come sognata da Matteo Salvini e Marine Le Pen?
Qui il discorso si fa più complesso di come uno sguardo superficiale sembrerebbe mostrare. I bavaresi della Csu stanno facendo il muso duro sul fronte immigrazione, ma da qui a lasciare l’alleanza con la Cdu e i popolari, ce ne corre. E così per il centrodestra austriaco di Sebastian Kurz. Lo stesso premier ungherese Victor Orban se ne sta acquattato dentro i popolari e non è detto che se ne voglia uscire: certificherebbe il suo isolamento dalle grandi cancellerie occidentali e un eccessivo avvicinamento al suo idolo Vladimir Putin che, comunque, rappresenta una nazione con cui gli ungheresi non hanno avuto felici trascorsi e che è molto invisa a polacchi, lituani, lettoni ed estoni.
Appunto i polacchi sono la chiave di volta: euroscettici e schierati con il gruppo conservatore in Europa, non hanno però voglia di associarsi a un Orban filoputiniano. Dai russi sono ossessionati. Anche i movimenti nazionalisti scandinavi non è detto che finiscano dentro il rassemblement populista: i veri finlandesi, i democratici svedesi e il Partito popolare danese non vogliono essere scambiati per forze politiche di estrema destra. E ritrovarsi fianco a fianco di Alba dorata greca, i fiamminghi della Nva e i discutibili tedeschi di Alternativa per la Germania è più che un marchio.
Così il gruppone populista potrebbe essere composto da Lega, forse M5S, Front national, Fpö austriaca e Vvd olandese di Gert Wilders: anche per queste forze, allargarsi all’estrema destra può risultare indigeribile.
Ma se questa è la politica dei seggi, diversa è la politica delle idee. Non c’è dubbio che sarà un Parlamento con forti tendenze disgregatrici: per questo sarà un voto decisivo, quello dell’anno prossimo. È cresciuto moltissimo il sentimento nazionalista, la voglia di non delegare poteri e funzioni, ma anzi di riportarsele a casa; di far saltare quei trattati che finora hanno regolato la vita degli europei. Insomma: ha ancora un senso l’Unione?
La battaglia sarà tra chi dice no, e chi dice non così.