Casal Bruciato: il vescovo Palmieri, “abbiamo invitato la famiglia rom dal Papa. Sono molto impauriti”
È ancora alta la tensione nel quartiere Casal Bruciato, a Roma, con i militanti di Casa Pound, insieme ad alcuni residenti, che protestano in maniera violenta e ignobile contro l'assegnazione legittima di una casa popolare ad una famiglia rom di 14 persone, in lista da 15 anni. Oggi, insieme alla sindaca Virginia Raggi, hanno incontrato anche il direttore della Caritas di Roma e monsignor Gianpiero Palmieri, vescovo ausiliare di Roma. Hanno invitato la famiglia rom all'incontro di domani con Papa Francesco ma ancora non hanno avuto una risposta.
La famiglia rom al centro delle proteste violente di alcuni residenti e di militanti di Casa Pound a via Satta, nel quartiere di Casal Bruciato, alla periferia est di Roma, è stata invitata a partecipare domani all’incontro con Papa Francesco. Ad incontrare oggi la famiglia, padre e madre con 12 figli, insieme alla sindaca Virginia Raggi e al direttore della Caritas di Roma don Benoni Ambarus, c’era anche monsignor Gianpiero Palmieri, vescovo ausiliare di Roma. La famiglia, di origine bosniaca ma cittadini italiani, viveva nel campo La Barbuta ed aveva aspettato 15 anni per l’assegnazione legale di un alloggio popolare. “Sono molto impauriti, hanno mandato dagli zii tutti i bambini e tengono con sé solo la bimba di 3 anni – racconta al Sir monsignor Palmieri -. Ma come si fa? Dopo aver sentito gridare ‘vi stupriamo’, come possono rimanere lì? Questi due genitori sono coraggiosi ma hanno sentito tutto e ricordano bene queste frasi. Hanno paura, vogliono andar via. Per loro stare in quella casa, dopo 15 anni di campo, era l’inizio di un riscatto”. Secondo il vescovo “si sta alimentando il sentimento di odio per avere qualche voto in più alle prossime elezioni”. “È una guerra tra poveri – afferma -. O si decide di uscire fuori da queste situazioni tutti insieme, prendendoci cura di tutti i poveri, oppure si sovraccarica la vita di una comunità locale e civile di un compito di integrazione a cui non è preparata”.
Verranno dal Papa domani?
Li abbiamo invitati ma non sanno se verranno, ci faranno sapere presto. Abbiamo parlato con i vescovi ausiliari e con il vicario. Visto che domattina il Papa incontrerà i rom e i sinti alle 10.45, nella sala Regia del Palazzo apostolico in Vaticano e la sera alle 19 incontrerà la diocesi di Roma a San Giovanni, abbiamo proposto di portare anche questa famiglia rom, se accetterà. Sono bosniaci, musulmani, con 12 bambini, e sono legittimamente assegnatari di una casa popolare a Casal Bruciato. Sono molto impauriti, hanno mandato via tutti i bambini e tengono con sé solo la bimba di 3 anni. I bambini sono inseriti a scuola nel quartiere Spinaceto e si trovano in difficoltà perché da quattro giorni sono bloccati. Ora li hanno mandati dagli zii per cercare di garantire l’accesso a scuola.
Abbiamo visto contro questa famiglia rom minacce e insulti ripugnanti.
Esattamente. In realtà si stanno sedimentando tante situazioni difficili. Da una parte tutta la questione relativa alle case popolari, in un quartiere dove la gente fa mille fatiche per potersi pagare la casa. Gli enti mettono in vendita le case popolari e gli abitanti stanno facendo grossi sacrifici per poterli comprare. In una situazione del genere un appartamento acquistato dal Comune per le assegnazioni di edilizia popolare, che finisce ad una famiglia rom, provoca l’ostilità dei residenti perché il pregiudizio che siano tutti ladri e truffatori li spinge a non volerli nemmeno conoscere.
Cosa è successo quando li avete incontrati insieme alla sindaca di Roma Virginia Raggi?
È stato molto bello vedere un paio di vicini di casa, che prima avevano apostrofato male la sindaca Raggi, entrare con noi a conoscere la famiglia. Si sono resi conto che sono una famiglia normale. Sono cittadini italiani, i figli vanno a scuola, il padre lavora in un mercatino con tutte le autorizzazioni.
Si tratta di vero e proprio odio razziale?
È la scelta di chi, in vista delle elezioni, alimenta l’insofferenza di persone che già vivono in mezzo a mille difficoltà quotidiane: povertà e fatica a pagare le bollette. Si alimenta il sentimento di odio per avere qualche voto in più alle prossime elezioni.
Siete preoccupati per l’escalation di questo clima di tensione?
Sì siamo preoccupati da questo clima di tensione crescente. Non si può pensare che la soluzione a questo tipo di problemi sia la contrapposizione totale. Dire “via tutti i rom e prima gli italiani” non può esistere da nessun punto di vista, soprattutto umano.
Il comune di Roma poteva fare di più per evitare queste contrapposizioni?
Sicuramente i percorsi di integrazione sono molto difficili. Devo dire che la scelta di difendere a tutti i costi il diritto di questa famiglia a stare lì è stata molto coraggiosa. Certo, molto di più si può fare per favorire progetti di integrazione.
Ma qui si sta vivendo da una parte l’esito doloroso di una politica per le case popolari non trasparente e dall’altra parte c’è stata la scelta scellerata, soltanto italiana, di accogliere i rom nei campi. Sicuramente questo non favorisce processi di integrazione. È una guerra tra poveri. Mi ha colpito molto sia il dialogo con la famiglia rom, sia con i residenti. Sono entrambe realtà che lottano per la vita quotidiana.
E’ proprio una guerra tra poveri. O si decide di uscire fuori da queste situazioni tutti insieme, prendendoci cura di tutti i poveri, oppure si sovraccarica la vita di una comunità locale e civile di un compito di integrazione a cui non è preparata.
Cosa ha deciso di fare la famiglia rom? Resterà in quella casa?
Ma come si fa? Una famiglia che si è sentita gridare “vi stupriamo”, come può rimanere lì? Questi due genitori sono coraggiosi ma hanno sentito e ricordano bene queste frasi. Hanno paura, vogliono andar via. Per loro stare in quella casa, dopo 15 anni di campo, era l’inizio di un riscatto. Volevano segnare una svolta.
Il padre di famiglia, con una innocenza che mi ha colpito tanto, mi ha detto: “Io volevo organizzare una festa per tutto il condominio, invece ho capito che non si può fare”. Io non so se la famiglia ce la farà a rimanere lì.