Un anno di Covid. Pastorale “provocata” dalla pandemia
Marzo 2020. Il Governo italiano introduce forti limitazioni a qualsiasi tipo di spostamento: si esce di casa solo per ragioni di stretta necessita, chi può lavora da casa, tutto il resto si ferma.
Le Chiese rimangono chiuse, niente messa in presenza, stop a tutte le attività parrocchiali. Assunta Steccanella insegna teologia pastorale ed è da alcuni mesi pro-direttrice del ciclo di specializzazione alla Facoltà teologica del Triveneto: a lei chiediamo, quale impatto ha avuto sulle comunità cristiane il blocco improvviso della pastorale. «Anzitutto non parlerei di blocco della pastorale, ma di una trasformazione incipiente. L’approccio digitale alla pastorale era pressoché assente nelle nostre comunità, mentre durante il lockdown si è concretizzato attraverso la trasmissione delle messe, l’organizzazione della catechesi sulle piattaforme on line, ma anche la condivisione di contenuti e il tentativo di mantenere aperte le relazioni. Certo, non si tratta di un fenomeno diffuso allo stesso grado in tutte le comunità, ma oggi è realtà».
Qualcosa è evoluto, secondo Assunta Steccanella, anche nei contenuti e non solo nei mezzi. «Abbiamo visto nascere un’attenzione germinale alla dimensione familiare della fede. Per esempio, in alcune parrocchie, vista la sospensione della catechesi, si sono attivate iniziative di preghiera e di condivisione della fede che prima avvenivano sporadicamente».
Un terzo elemento sta nel ruolo fondamentale svolto dalle Caritas in molte realtà: «La loro azione non si è fermata, la carità è stata la dimensione più attiva e davvero ha concretizzato la presenza di Cristo nel volto del povero: ebbene, a questa prassi occorre dare più parola, problematizzarla».
Nella lettura degli eventi di Steccanella, la pastorale del dopo Covid si svilupperà a partire da tre poli. Al primo posto ci sono le relazioni: «In tutti gli incontri emerge la necessità di ricalibrare la pastorale sulle relazioni personali. Ci illudevamo che bastasse essere fisicamente tutti insieme nello stesso spazio per essere in relazione, quando non ci si è più potuti incontrare ci siamo resi conto di quanto le relazioni fossero rarefatte ed è emersa quanto sia reale l’esigenza di abitare queste relazioni, da qui il tentativo di molti di coltivarle attraverso i social media e la tecnologia».
In secondo luogo c’è la frequentazione della Parola: «È un recupero che va realizzato a livello personale, dobbiamo tornare al cuore dell’Annuncio, al nucleo kerygmatico della nostra fede. Tutta la catechesi e la proposta formativa deve puntare su questo, mentre in molti casi, per paradosso, la Parola finora era come posticcia, “appiccicata” ai nostri incontri come per un dovere morale espletato il quale si passa a parlare d’altro. Solo raramente fungeva da punto originario da cui sviluppare nel profondo le nostre proposte». Infine la carità: «Al capitolo 25 del Vangelo di Matteo ci troviamo di fronte all’identificazione di Gesù nel povero, “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Occorre rafforzare la percezione che nel povero c’è il volto di Cristo e servirlo è servire Cristo. Non solo, nel povero c’è la presenza reale di Cristo. Anche se il povero fosse scomodo, cattivo, o addirittura ladro, non sono le sue caratteristiche morali a determinare il rapporto con lui. Seppur nella difficoltà, è una relazione che va coltivata con perseveranza».