Padre Hechich: aperta la causa di beatificazione. Segno della misericordia di Dio
Padre Daniele Hechich. Si è aperto ufficialmente, domenica 29 novembre a Saccolongo, il processo di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio. Ora comincia una fase delicata, sottoposta a segreto istruttorio, di ascolto dei testimoni, esame degli scritti
«Tra i segni che il Signore ha distribuito perché vedessimo la sua misericordia... c’è padre Daniele». Sono parole del vescovo Claudio, che domenica 29 novembre ha presieduto – nella chiesa parrocchiale di Saccolongo – l’apertura del processo di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio padre Daniele Hechich. Nato in Istria nel 1926, Stanislao Liberato Hechich è stato “accompagnato” dalla malattia, l’arteriosclerosi a placche. 63 anni di vita religiosa, nei Frati minori, e 53 di sacerdozio. Fu confessore e direttore spirituale in numerosi conventi, ultimo dei quali a Saccolongo, nella Casa Sacro cuore. Qui è morto il 26 settembre 2009.
«Di lui – ha continuato il vescovo – voglio sottolineare solo un aspetto che il Signore ha saputo valorizzare: la sua sofferenza. Sembrerebbe un accessorio, ma... il Signore sa trasformarla. Non l’abbandona a se stessa, non lascia che sia un’esperienza solo devastante per l’uomo. Il Signore sa cogliere anche quei momenti in cui la malattia fisica può mettere in dubbio la sua misericordia. Anche la malattia salva, come la morte di Gesù. Dolore e sofferenza vengono raccolte, in modo misterioso dalle mani di Dio, e diventano momenti preziosi. Di padre Daniele colgo questa capacità: di portare dentro la misericordia di Dio anche la sofferenza, di trasformare i suoi impedimenti fisici in occasioni per parlare di Dio e della sua misericordia. Quanto bene ha fatto nella sua malattia, che testimonianza di amore ha dato... È stato segno tangibile del Padre che si occupa di chi è nella sofferenza fisica, psichica, morale... Sofferenze portate a padre Daniele, da moltissime persone, perché venissero ricondotte dentro l’amore misericordioso di Dio».
Prima degli atti ufficiali di avvio della causa – compreso il giuramento del vescovo, degli “officiali dell’inchiesta” (che seguiranno le varie sessioni della causa e ascolteranno i testimoni) e del postulatore – il vice postulatore, fra Claudio Bratti, ha offerto alcuni spunti di riflessione sulla “portata”, per la Chiesa tutta, del percorso che è cominciato. «Avete notato che le persone trovano Dio nella sofferenza? Sembra essere un controsenso, eppure... Lo possiamo constatare noi sacerdoti, soprattutto quando ci dedichiamo alla cura delle anime nel ministero della confessione, come faceva padre Daniele. Lui conosceva la sofferenza... avendo scoperto, a un certo punto, di avere l’arteriosclerosi a placche.
Sentirsi invalido, e che si ha bisogno di tutto da parte degli altri, è un’umiliazione forte. Siamo umani... Solo alla luce della fede si riesce a capire che la vita di sofferenza vale. Padre Daniele, quando ha saputo della sua malattia, in molti gli hanno chiesto: andiamo a Lourdes a chiedere la tua guarigione? No, è volontà di Dio, ha risposto. Ha offerto tutta la sua sofferenza per il bene della Chiesa, per conversione dei peccatori, soprattutto per santificazione del clero. Ha “consumato” tutta la sua vita per queste tre motivazioni. “Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”: questo è stato il programma di padre Daniele. Lo Spirito Santo lo ripresenta a ognuno di noi...».