La missione padovana in Etiopia è finalmente realtà
«Kofale, 11 gennaio 2019: qui inizia la missione padovana in Etiopia, presso la prefettura apostolica di Robe. Ed è difficile sottrarsi all'impressione che si tratti di un momento storico». Le parole del direttore del Centro missionario diocesano di Padova, don Raffaele Gobbi, giungono direttamente dagli altopiani etiopi e danno il senso di quanto sta accadendo laggiù: per la prima volta, i tre missionari fidei donum padovani – Elisabetta Corà, don Stefano Ferraretto e don Nicola De Guio – hanno messo piede nella terra a cui si dedicheranno a nome della nostra Chiesa, nei prossimi anni.
«Kofale, 11 gennaio 2019: qui inizia la missione padovana in Etiopia, presso la prefettura apostolica di Robe. Ed è difficile sottrarsi all'impressione che si tratti di un momento storico». Le parole del direttore del Centro missionario diocesano di Padova, don Raffaele Gobbi, giungono direttamente dagli altopiani etiopi e danno il senso di quanto sta accadendo laggiù: per la prima volta, i tre missionari fidei donum padovani – Elisabetta Corà, don Stefano Ferraretto e don Nicola De Guio – hanno messo piede nella terra a cui si dedicheranno a nome della nostra Chiesa, nei prossimi anni.
«Qui, una trentina di anni fa – continua don Raffaele – don Daniele, prete di Mantova molto amico e compagno di ordinazione del nostro vescovo Claudio, svolse il suo servizio missionario fondando anche alcune delle strutture ora presenti. E il vescovo Claudio, anni fa in visita al suo amico e confratello, passò per questi luoghi. Qui da tre anni e più il vescovo emerito Antonio vive con grande impegno ed entusiasmo, a dispetto dell'età, la missione in mezzo agli Oromo».
L’agenda dei missionari e del direttore del Cmd ha già i suoi impegni: i saluti di rito, la burocrazia da sbrigare, i primi meeting pastorali necessari a lanciare la missione, ma ai 2.300 metri dell’altopiano, non mancano gli spunti di riflessione. «Siamo arrivati ormai da alcuni giorni e la stanchezza del viaggio ha già lasciato posto alle prime emozioni – racconta Elisabetta Corà – Una pace innanzitutto che vive nei nostri cuori, accompagnata da una serenità che i ritmi africani contribuiscono a far respirare. Una pace che ritroviamo in ogni incontro che facciamo, dal momento che il saluto in lingua oromo è nagaa che significa proprio pace. Tutto questo è alimentato dall’affetto che fin da subito ci è stato dimostrato, a partire dai sorrisi e dalla gioia trasmessi dalla gente nell’accoglierci nelle loro capanne e nel condividere qualche pezzo di strada».
Certo, non mancano i “sani” timori, a far da contraltare alla voglia di mettersi in gioco. Ma questo inizio è pieno di stupore: «Il freddo del mattino, la limpidezza del cielo e le folle di gente che tutto il giorno si spostano lungo la strada principale di Kofale, sono il contesto che ci colpisce. A sorprenderci tuttavia è stata sicuramente la visita alla comunità nascente di Kokossa: un gruppo di giovani, bambini e famiglie che affollano ogni domenica una piccola stanza che fa da chiesa. Il calore, l’odore di umanità, la loro fede gioiosa, ci sono entrati da subito nel cuore. Luoghi che sanno di antichità e di incontaminato si mescolano alla povertà e alla semplicità della vita di questi nostri nuovi fratelli che con entusiasmo desiderano stare e camminare con noi».
Alle spalle, a sei ore di macchina, la caotica Addis Abeba, dove i missionari studieranno la lingua oromo in questi mesi e nel fine settimana saranno a proprio a Kofale. I volti della comunità a don Nicola De Guio, non possono non ricordare quelli che per anni ha vissuto in Ecuador, nella sua precedente esperienza missionaria: «La missione è un’altra – condivide don Nicola – ma il volto della comunità che cerca e incontra Cristo, è lo stesso». Ma ci sono anche volti conosciuti come quello del vescovo emerito Antonio Mattiazzo e degli altri collaboratori della missione.
«Anche questi volti ci trasmettono l’emozione e la gioia per la comunione nella missione e nell’evangelizzazione – continua don Nicola – La visita della missione e la messa domenicale ci hanno permesso di incontrare la piccola comunità cristiana che in questi anni ha avuto la fortuna della visita settimanale del vescovo Antonio per la catechesi, la celebrazione dei primi battesimi e la cura presenza pastorale. E poi entrare per la prima volta in alcune case nei dintorni di Kofale: sono i luoghi visitati dai missionari che rendono familiare la Parola di Dio come anche la Carità che ne deriva: una bella sfida che cerca di coniugare l’importanza dell’evangelizzazione con la promozione umana».
«Se qui la grande vocazione missionaria della nostra diocesi ancora una volta si manifesta è perché in tanti ci hanno creduto e ci hanno lavorato – conclude don Raffaele Gobbi – Don Attilio De Battisti che per primo individuò l'Etiopia come Paese in cui inserirsi; don Valentino Sguotti che queste terre ha visitato, incontrando il non ancora prefetto apostolico, il cappuccino padre Angelo Antolini; don Gaetano Borgo, che ha accompagnato con tenacia e determinazione la diocesi nel “sì” convinto a questo progetto missionario. A Kofale, quindi, c'è molto più di un gruppetto di tre missionari, inviati dal vescovo Claudio che appoggia ed accompagna il loro servizio (e fra non molto farà loro visita)... Qui è una diocesi tutta che accoglie l'invito ad andare fino agli estremi confini per annunciare l'amore del Signore per ogni essere umano».
La missione
La prefettura apostolica di Robe nasce per volontà di papa Benedetto XVI l’11 febbraio 2012, dalla divisione del territorio del vicariato apostolico di Meki. Padre Angelo Antolini, frate Cappuccino, viene nominato primo prefetto apostolico. La Prefettura ha un territorio di 102.769 kmq (un terzo dell'Italia) con una popolazione complessiva di 3.295.278 abitanti. Comprende due etnie principali: oromo e somali. Il 97 per cento della popolazione è islamica, nelle città sono presenti cristiani ortodossi, retaggio dell'impero Amara. La chiesa cattolica, presente da pochi decenni, conta lo 0,03 per cento della popolazione.