Kenya - Padova. È una fraternità che continua. La comunità è parte attiva
Kenya - Padova. Che cosa dicono alla nostra Diocesi Irene – donna, africana, volontaria – nuova direttrice del Saint Martin e i laici in prima linea di Mochongoi, 26 comunità in un'unica immensa parrocchia, consapevoli che il prete è una benedizione ma la comunità è loro
Coraggio Italia! Lo scrivono bambini, persone con disabilità, piccoli, fragili di Ol Moran, parrocchia keniana in cui i missionari veneziani hanno da sempre operato in sinergia con i fidei donum padovani. Sono immagini potenti, «il paradosso dei piccoli che incoraggiano i grandi», i poveri degli altopiani africani porgono la mano all’Italia che si ritrova oggi nel cuore di un’epidemia di cui ancora non si vede la fine. Il commento è quello di don Mariano Dal Ponte, rientrato dal Kenya a fine 2019. Lì vicino, a Mochongoi, il sacerdote padovano ha operato – prima di diventare direttore del Saint Martin nel 2012 – assieme a don Sandro Ferretto, anche lui alla prima Quaresima italiana dopo parecchi anni.
«Oggi stiamo vivendo una nuova pagina della lunga storia padovana in Kenya – riflette don Mariano – Dopo la scelta della nostra Diocesi di non inviare più sacerdoti missionari rimane l’appello della Chiesa di Nyahururu attraverso il vescovo Joseph Mbatia: come possiamo continuare questa amicizia durata oltre 65 anni? Quali modi nuovi e diversi per continuare a coltivare questa fraternità?».
Non dimenticheremo il vostro amore titolava la Difesa il 15 dicembre scorso all’annuncio del rientro dei missionari. Ora è il momento di coniare nuove modalità per viverlo, quell’amore. E di certo la presenza viva e forte del vescovo emerito di Nyahururu, mons. Luigi Pajaro, di don Vittorio Grigoletto, parroco di Weru, e di don Sandro Borsa, direttore dell’ospedale di North Kinangop – dove ha accudito don Remigio Dal Santo fino alle 17.40 del 13 marzo, quando è tornato alla casa del Padre dopo un periodo di malattia – rappresenta il segno più immediato di questo. Poi arriveranno nuovi segni, l’invito alla creatività della Chiesa e dello Spirito.
Le realtà che più di altre stanno affrontando il cambiamento sono proprio il Saint Martin, l’organizzazione di apostolato sociale fondata vent’anni fa da don Gabriele Pipinato e Ans Van Kuelen, e proprio la parrocchia di Mochongoi, che hanno perso rispettivamente direttore e parroco. Entrambe hanno qualcosa da insegnarci in questo frangente della storia. «Il Saint Martin è molto cambiato negli ultimi quattro anni – conferma don Mariano – Il progetto sulla disabilità oggi è del tutto in carico all’Arche Kenya, organizzazione figlia del Saint Martin ma indipendente, oggi punto di riferimento per la disabilità a Nyahururu. Mentre l’evoluzione politica e culturale del Kenya ha fatto sì che l’Hiv non sia più un’emergenza. La nuova frontiera oggi è il sostegno a persone con malattia mentale come schizofrenia, depressione e psicosi, tutt’ora reiette e prive di cura. Abbiamo lanciato un progetto pilota di due anni accanto a quello sulle dipendenze. Rimane poi l’impegno accanto ai minori in difficoltà e quello per la riconciliazione e la pace tra etnie».
Tutto ciò che fa il Saint Martin è attraverso la comunità, e il suo marchio di fabbrica è plasmare l’approccio culturale, coinvolgendo volontari a centinaia in progetti che non sono mai stati legati alle personalità o alle risorse padovane. A dirigere oggi il Saint Martin è Irene Whamiti, avvocato, che ha tre caratteristiche rivoluzionarie: essere del luogo, essere donna e essere volontaria. «Si realizza la Chiesa del Vaticano II, con la presenza di laici non più destinatari ma protagonisti, a cui viene affidata la missione di annunciare e portare avanti il Vangelo. Con tanta umiltà incoraggia a procedere in diocesi sui ministeri dei laici e sulle tante realtà di chiesa non più guidate da un prete».
Tema quest’ultimo fortissimo a Mochongoi. Sono 26 le outstations (cappelle locali) che compongono la parrocchia, alcune anche a 60-70 chilometri di distanza l’una dall’altra. Eppure, ogni domenica c'è almeno una liturgia della Parola. «E questo grazie ai catechisti, persone semplici, come i primi discepoli, che come possono spezzano la Parola per il popolo di Dio – racconta don Sandro Ferretto - Il loro però è un servizio autorevole ed efficace, anche perché durante la settimana i cristiani si trovano e ascoltano, condividono la Parola della domenica successiva insieme nelle diverse piccole comunità cristiane».
Le comunità hanno un presidente, un vice, un segretario e un tesoriere, tutti eletti. Una sorta di consiglio pastorale locale che poi confluisce nel grande consiglio parrocchiale, che si è dimostrato strumento strategico per ricomporre le tensioni etniche. «Mi hanno sempre colpito la fede e il senso di responsabilità del laicato keniano. Credo che vengano dalla consapevolezza del fatto che il prete è una benedizione, “ma la comunità è la nostra”. Si tratta di una sfida anche per noi italiani. Noi preti dobbiamo vivere con profonda fiducia la nascita dei ministeri laicali e i laici devono uscire dai campanilismi, dai “sovranismi” parrocchiali, per riscoprire la responsabilità del loro battesimo e la gioia di lavorare insieme per l’unità».
Fede e azione
Dalla fede all'azione. È il principio, espresso nella Lettera di san Giacomo, su cui si basa l'apostolato sociale del Saint Martin. «La fede è sterile senza azioni – commenta don Mariano Dal Ponte – e questo è fondamentale ovunque, segna il percorso spirituale con cui ci relazioniamo. Anche come accettiamo di vivere con senso civico questo momento così particolare viene dalla fede e lo stesso vale per come le parrocchie si propongono di porsi accanto alle amministrazioni a servizio degli ultimi in questa epidemia».