«Ha seguito Gesù fino in fondo». A 34 anni dalla morte di Ezechiele Ramin
Ezechiele Ramin: a 34 anni dalla morte, padre Efrem Tresoldi, direttore di Nigrizia, ricorda il confratello comboniano con cui ha condiviso gli anni di preparazione al sacerdozio. Mercoledì 24, alle 19, verrà celebrata una messa a San Giuseppe
Cacoal, Rondonia (Brasile), domenica 23 luglio 1995. Ricordo che uscivo di chiesa dopo l’affollata celebrazione eucaristica a dieci anni dalla morte di padre Ezechiele Ramin. Negli ultimi banchi c'era una donna anziana. Al mio saluto risponde raccontandomi della sua amicizia con padre Ezechiele. Ripenso alle sue parole che suonavano così: «Il padre, quando toccava a lui il turno della messa vespertina della domenica, dopo la celebrazione si offriva per darmi un passaggio in macchina. Alle volte appariva molto stanco e gli dicevo che mi sarei arrangiata da sola, ma lui insisteva e alla fine accettavo. In macchina mi ascoltava con pazienza quando gli raccontavo della mia famiglia, delle difficoltà che incontravo e lui aveva sempre per me una parola di incoraggiamento. Ancora oggi continuo a rivolgermi a lui nella preghiera. Padre Ezechiele mi aiuta sempre e mi dà la forza e la serenità per affrontare situazioni che prima mi sembravano impossibili da risolvere. Lui è il mio santo che mi accompagna e sostiene».
Per la gente semplice come questa donna anziana padre Ramin era ed è un uomo di Dio, di fede profonda e concreta. Chi scrive ha condiviso con lui gli anni di preparazione al sacerdozio, dal postulato al noviziato allo scolasticato negli Stati Uniti, e posso dire che manifestava già da allora segni di generosità verso gli ultimi e il desiderio di donarsi a Dio completamente per testimoniare il Vangelo come missionario comboniano.
Il suo cammino di fede e di vocazione missionaria ha raggiunto l’apice di maturazione nell’ultimo anno e mezzo di vita quando venne assegnato alla missione in Brasile. Lasso di tempo breve, ma assai proficuo. Basterebbe ascoltare le parole di quegli anni, per capire quanto avesse fatto sua la missione liberatrice di Cristo: «La croce è la solidarietà di Dio, che assume il cammino e il dolore umano, non per renderlo eterno ma per sopprimerlo… non attraverso la forza né con il dominio, ma per la via dell’amore. Cristo predicò e visse questa nuova dimensione» (Cacoal, omelia del Venerdì Santo, 5 aprile 1985).
La sua era una spiritualità incarnata nella storia a partire da una preferenza, quella degli ultimi e dei poveri. Alla pari di san Daniele Comboni, nostro fondatore, padre Ezechiele ha fatto “causa comune” con gli oppressi. Sentiva su di sé l’ingiustizia perpetrata dall’avidità dei grandi latifondisti che impedivano a tanti uomini e donne “senza terra” di poter avere un fazzoletto di terra per il loro sostentamento e cacciavano dai loro territori i piccoli coltivatori e gli indigeni della foresta amazzonica. Fin dagli inizi aveva lottato per rivendicare i diritti fondamentali dei diseredati, forte anche del sostegno della Chiesa locale. Ezechiele era cosciente che c’era un prezzo da pagare per questa sua scelta di campo, ma non si è mai tirato indietro anche quando avevano cominciato ad arrivargli minacce di morte. Si sentiva in sintonia con Gesù che seguì fino in fondo.
Efrem Tresoldi
Missionario comboniano