Via Crucis: Gesù è un migrante nudo sulla croce
Umanità: è la parola chiave della prima Via Crucis scritta dai giovani. Inchiodato sulla Croce c'è un migrante, che ci ricorda come ognuno di noi abbia inscritta la propria dignità sotto la pelle.
Il verbo: vedere. La parola chiave: l’umanità di Cristo, spesso dimenticata “da una vita che spinge sull’acceleratore”. Nell’anno del Sinodo, sono i giovani – per la prima volta – a firmare i testi della Via Cucis che questa sera il Papa presiederà al Colosseo. Negli occhi dei 15 ragazzi di un liceo romano – 12 ragazze e 3 ragazzi – coordinati dal loro professore, Andrea Monda, Gesù è “un giovane migrante” nudo inchiodato sulla Croce, che richiama tutti noi a non sfigurare mai con la nostra indifferenza la dignità di chi incrociamo sulle nostre strade, mai per caso. Nelle quattordici stazioni, la nostalgia di un linguaggio come quello usato da Gesù, così diverso da quello che i giovani padroneggiano sulla Rete.
La folla, cioè nessuno. “Ti vedo, Gesù…”, è l’incipit di ogni stazione. Nella prima il protagonista è Pilato, che “sceglie di non scegliere, di fronte alla folla”. “La folla, cioè nessuno”: “Dimentichiamo tutte le volte in cui noi per primi abbiamo scelto di salvare Barabba anziché te”, il mea culpa dei ragazzi: “In quella piazza gremita, sarebbe stato sufficiente che un solo cuore dubitasse”.
Docilità e ribellione. La docilità di Gesù, caricato della Croce e coronato di spinte, e la ribellione tipica delle nuove generazioni. La seconda stazione si muove per contrasto: “Sei solo di qualche anno più grande di me, oggi si direbbe che sei ancora giovane, ma sei docile, e prendi sul serio quello che la vita ti offre, ogni occasione che ti si presenta, come se volessi andare fino in fondo alle cose e scoprire che c’è sempre qualcosa di più di quello che appare, un significato nascosto e sorprendente”.
La prima caduta. Nella terza stazione, Gesù che stringe i denti, tra l’indifferenza e la derisione generale, viene paragonato a un bambino “che muove i primi passi verso la vita e perde l’equilibrio e cade e piange, ma poi continua”. “Con il tuo coraggio – la risonanza dei ragazzi – ci insegni che i fallimenti e le cadute non devono mai arrestare il nostro cammino e che abbiamo sempre una scelta: arrenderci o rialzarci con te”.
Maria triste, ma non disperata. “Le mamme accompagnano i figli a scuola, o dal medico, o li portano con sé al lavoro”. Maria, però, “sta accompagnando suo figlio a morire”. È il tema della quarta stazione, dove il commento registra il passaggio alla prima persona: “Sapevi che, prima o poi, sarebbe successo, ti era stato profetizzato, ma ora che è accaduto è tutto diverso”, le parole che danno del “tu” alla Madre: “Ed è sempre così, siamo sempre impreparati di fronte alla vita, alla sua crudezza”. Maria triste, ma non disperata, perché sa che quello di suo figlio non sarà un viaggio di sola andata.
Lo straniero delle sorprese. Il Cireneo è “un uomo qualunque”, uno straniero: ma è da lui, protagonista della quinta stazione, che impariamo come “nell’incontro inaspettato, nell’incidente, nella sorpresa spiazzante è nascosta l’opportunità di amare, di riconoscere il meglio nel prossimo, anche quando ci sembra diverso”.
Il coraggio di rialzarci. “Veronica non si ferma all’apparenza, oggi tanto importante nella nostra società delle immagini, ma ama incondizionatamente un volto brutto, non curato, non truccato e imperfetto”. È la donna della sesta stazione, determinata nel raggiungere a tutti i costi Gesù per accarezzarne il volto, “la sua è la forza della tenerezza”. “Siamo terra, siamo fango, siamo niente in confronto a te”, l’istantanea della settima stazione, quella dove “uno strano re, un re nella polvere”, cade per la seconda volta: “Fa’ che siamo pronti a rialzarci dopo essere caduti, che possiamo imparare qualcosa dai nostri fallimenti”, la preghiera dei ragazzi.
La rivoluzione della gentilezza. In un mondo “fatto di giri di parole” – la fotografia dell’ottava stazione, quella dell’incontro con le donne di Gerusalemme -, si percepisce la nostalgia per un linguaggio altro, segno di un “amore senza misura verso gli ultimi e gli emarginati”, impastato di una “gentilezza” che suona rivoluzionaria. “Stai andando a morire, ma vuoi farlo fino in fondo. Forse questo è l’amore”, il commento alla nona stazione, dove Gesù cade per la terza volta.
Dignità sotto la pelle. “Ti vedo, Gesù, e vedono un giovane migrante, corpo distrutto che arriva in una terra troppo spesso crudele”. La decima stazione è letta con la lente della denuncia: gli uomini spesso dimenticano che la dignità “si trova sotto la tua pelle, è parte di te e sarà sempre con te”. Ti vedo e comprendo la grandezza e lo splendore della tua dignità, della dignità di ogni uomo, che nessuno potrà mai cancellare”.
Gli errori dei social. Gesù inchiodato alla croce è il tema dell’undicesima stazione, che per gli autori è occasione di presa di coscienza della possibile disumanizzazione del mondo digitale: “Mi guardo intorno e vedo occhi fissi sullo schermo del telefono, impegnati sui social network ad inchiodare ogni errore degli altri senza possibilità di perdono. Uomini che, in preda all’ira, urlano di odiarsi per i motivi più futili”.
“Ti vedo, Gesù, e questa volta non ti vorrei vedere”. È difficile contemplare Gesù che muore in croce, nella dodicesima stazione: “Troppe volte ho girato lo sguardo dall’altra parte, mi sono quasi abituato a fuggire il dolore e la morte, mi sono anestetizzato”. Invece, “tu resti in croce, e basta. Non provi a spiegare il mistero della morte, del consumarsi di tutte le cose, fai di più: lo attraversi con tutto il tuo corpo e il tuo spirito”. “Insostenibile” è anche la deposizione della croce, oggetto della tredicesima stazione:
“Umanità: è questa la parola chiave, quell’umanità che spesso dimentichiamo, troppo presi da una vita che spinge sull’acceleratore”.
“Non ti vedo più, Gesù, ora è buio”, l’immagine dell’ ultima stazione. Ma il buio non riesce a soffocare la luce: “Vorrei correre lontano, ma dentro di me tu sei; non devo uscire a cercarti, perché alla mia porta tu bussi”.