Stanchezza. Un commento al tradizionale discorso alla città di Milano dell'arcivescovo Delpini, in occasione della festa di Sant'Ambrogio

Spesso cediamo alla tentazione della sfiducia e della rassegnazione quando vediamo diminuire il numero di famiglie che si vanno formando o il bassissimo tasso di natalità del nostro Paese

Stanchezza. Un commento al tradizionale discorso alla città di Milano dell'arcivescovo Delpini, in occasione della festa di Sant'Ambrogio

“La gente non è stanca della vita di famiglia, perché la famiglia è il primo valore, e il bene più necessario per la società, è la trama di rapporti che dà sicurezza, incoraggia, accompagna. La gente è stanca della frenesia che si impone alla vita delle famiglie con l’accumularsi di impegni e delle prestazioni necessarie per costruire la propria immagine, per non far mancare niente ai figli, per non trascurare gli anziani. La gente è stanca di quell’impotenza di fronte a un clima deprimente che avvelena i pensieri, i sogni, le emozioni dei più fragili, che induce tanti adolescenti a non desiderare la vita”. È uno dei passaggi iniziali del discorso alla città di Milano da parte dell’arcivescovo Mario Delpini, in occasione della festa di Sant’Ambrogio. Un discorso che ha avuto come immagine centrale quella del riposo della terra e invita ad interpellarci e a constatare quanto la stanchezza delle nostre famiglie sia provocata da fattori esterni che necessiterebbero di essere modificati o rimossi. Spesso cediamo alla tentazione della sfiducia e della rassegnazione quando vediamo diminuire il numero di famiglie che si vanno formando o il bassissimo tasso di natalità del nostro Paese. Un’analisi superficiale vorrebbe farci credere che sia la cellula stessa della famiglia ad essere in crisi ma non è proprio così. È, invece, necessario ritrovare quelle condizioni che permettano alle famiglie di vivere maggiormente la bellezza quotidiana dello stare insieme. È importante trovare risorse per l’educazione, l’occupazione, la salute e ritrovare anche lo spazio e il tempo, liberando energie che altrimenti vanno tutte a concentrarsi sulle prestazioni lavorative e sul risolvere le mille incombenze che ordinariamente si presentano alle porte delle nostre case. Non si tratta banalmente di trovare l’occasione per un periodo di riposo, quella che va favorita è una migliore qualità di vita meno affannata e la qualità delle nostre relazioni. Di fronte, per esempio, agli scenari di guerra che affollano i nostri notiziari, le famiglie potrebbero trovare momenti per sperimentare scambi di pace concreti, gesti di gratuità e di accoglienza. Se i nostri appartamenti e condomini fossero meno a compartimenti stagni, i nostri figli assimilerebbero maggiormente il valore della convivenza e crescerebbero con dei modelli di comportamento alternativi a quelli dell’odio e della violenza. Anche la solidarietà che si può sperimentare fra le generazioni con l’aiuto dei figli nei confronti degli anziani genitori e reciprocamente quello dei nonni verso i nipoti è una dinamica da incentivare che aiuterebbe a contrastare la stanchezza delle nostre famiglie sempre oberate di troppi e frenetici oneri. Abbiamo bisogno che soprattutto gli adolescenti possano ancora sperare in un futuro luminoso e non si lascino sopraffare dalle diverse forme di depressione la cui incidenza è in aumento. Se è forte la responsabilità delle istituzioni nel venire incontro a questa domanda di qualità della vita che le nostre famiglie necessitano, anche le comunità ecclesiali è bene che si mettano in ascolto e che offrano itinerari di crescita comune attorno alla Parola e all’Eucarestia. Il riposo della terra, fuor di metafora, in questo prossimo anno giubilare, può allora significare offrire ai nostri figli un surplus di speranza nella vita che verrà, l’offerta di un terreno fertile in cui le vite dei giovani possano mettere radici e fiorire.

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Fonte: Sir