Papa Francesco. Uniti a Cristo. Non possiamo essere buoni cristiani se non rimaniamo in Gesù
Come la vite con i tralci, anche Gesù “ha bisogno di noi”, afferma il Papa, “ha bisogno della nostra testimonianza”.
La liturgia ci riporta, per la quinta volta di seguito, sul giorno di Pasqua. È un “rimanere” nel tempo in cui, per i cristiani, inizia la storia di fedeltà al Signore. Il verbo rimanere, è ripetuto sette volte nel testo giovanneo, come dire: non possiamo pensare alla nostra esistenza senza tornare a quel “terzo giorno”, proprio per conservare, nel nostro cuore, ciò che vediamo, ascoltiamo e viviamo nella liturgia. Rimanere perché, scrive Giovanni nella prima lettera, “chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui”. Si tratta di un testo che prepara i discepoli al suo andarsene, alla sua separazione fisica. Li prepara a quel vuoto che li attende, ma che va vissuto facendolo diventare luogo di fede, di una presenza promessa che si realizzerà con la sua seconda venuta. È interessante notare che nella liturgia domenicale la prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, ci fa incontrare Barnaba che si fa garante di Saulo, convertitosi sulla via di Damasco, che sarà Paolo di Tarso. Per dirci che il messaggio di Gesù non conosce chiusure e può essere accolto da tutti, e insieme costruire comunità missionarie.
Il quarto Vangelo ci propone l’immagine della vite e dei tralci. Immagine classica nella Bibbia: la vite e la vigna sono Israele e descrivono il rapporto tra Dio e il suo popolo; e se in Isaia la vigna ha prodotto acini acerbi e per questo viene calpestata, nel Vangelo di Giovanni leggiamo che il tralcio non buono viene bruciato. La vite non è più Israele ma Cristo stesso: “io sono la vera vite, e il Padre mio è l’agricoltore” e i tralci sono gli apostoli, i fedeli. Come non ricordare, ancora, che papa Benedetto utilizzava proprio l’immagine della vigna – “semplice, umile operaio nella vigna del Signore” – per dire il compito che lo attendeva come successore di Pietro.
“Non c’è vite senza tralci, e viceversa. I tralci non sono autosufficienti, ma dipendono totalmente dalla vite, che è la sorgente della loro esistenza”, afferma papa Francesco nella riflessione che precede la recita del Regina caeli. Prima di salire al Padre, Gesù ricorda ai suoi amici che “possono continuare ad essere uniti a lui”. Ma non si tratta di un rimanere passivo, un “addormentarsi nel Signore, lasciandosi cullare dalla vita”. Il rimanere in Gesù che lui ci propone, dice Francesco “è un rimanere attivo, e anche reciproco. Perché i tralci senza la vite non possono fare nulla, hanno bisogno della linfa per crescere e per dare frutto, ma anche la vite ha bisogno dei tralci, perché i frutti non spuntano sul tronco dell’albero. È un bisogno reciproco, è un rimanere reciproco”.
Il Signore ci dice che “prima dell’osservanza dei suoi comandamenti, prima delle beatitudini, prima delle opere di misericordia, è necessario essere uniti a lui, rimanere in lui. Non possiamo essere buoni cristiani se non rimaniamo in Gesù. E invece con lui possiamo tutto. Con lui possiamo tutto”. I primi cristiani, nel fare memoria della Pasqua, ripetevano: non possiamo vivere senza la domenica, cioè senza incontrare Gesù risorto, rimanere in lui. Come la vite con i tralci, anche Gesù “ha bisogno di noi”, afferma il Papa, “ha bisogno della nostra testimonianza”, del frutto “che dobbiamo dare con la nostra vita cristiana. Dopo che Gesù è salito al Padre, è compito dei discepoli – è compito nostro – continuare ad annunciare il Vangelo, con la parola e con le opere”.
Essere, cioè, “custodi e testimoni della speranza che non delude”, come diceva all’inizio del suo Pontificato papa Giovanni Paolo II. “Attaccati a Cristo – afferma ancora Francesco – riceviamo i doni dello Spirito Santo, e così possiamo fare del bene al prossimo, fare del bene alla società, alla Chiesa. Amando “i nostri fratelli e sorelle, a cominciare dai più poveri e sofferenti, come ha fatto Lui, e amarli con il suo cuore e portare nel mondo frutti di bontà, frutti di carità, frutti di pace”. È questa la chiave della chiamata alla santità rivolta a tutti: vivere con amore e offrire “ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova”, come scrive Francesco nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate.