Papa Francesco. Il volto di Dio “è amore e accoglienza”. Ecco da dove “nasce e rinasce la fede: non da dovere, ma da uno sguardo d'amore”
“Una fede senza dono e gratuità è incompleta è una fede debole, ammalata. Potremmo paragonarla a un cibo ricco e nutriente a cui però manca sapore, o a una partita ben giocata ma senza gol”.
“Per la strada”, scrive Marco nel suo Vangelo. Lungo la strada che sale a Gerusalemme, percorsa da Gesù e dai suoi discepoli, avviene un incontro: un giovane ricco – “possedeva molti beni”, leggiamo nella pagina del capitolo 10 – gli corre incontro, si inginocchia e lo chiama “maestro buono”. Un giovane. Non ha un nome quell’uomo, è solo un tale ed è molto ricco. Tutto qui, il denaro si è mangiato il suo nome, per tutti è semplicemente il giovane ricco. Nel Vangelo altri ricchi hanno incontrato Gesù: Zaccheo, Levi, Lazzaro, Susanna, Giovanna. E hanno un nome perché il denaro non era la loro identità. Che cosa hanno fatto di diverso questi, che Gesù amava, cui si appoggiava con i dodici? Hanno smesso di cercare sicurezza nel denaro e l’hanno impiegato per accrescere la vita attorno a sé. È questo che Gesù intende: tutto ciò che hai donalo ai poveri. Più ancora che la povertà, la condivisione. Più della sobrietà, la solidarietà.
Nella domenica in cui Francesco apre, in San Pietro, la XVI Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi, un percorso che vedrà le chiese impegnate fino a ottobre 2023 – non una “convention ecclesiale”, o un “convegno di studi”, ma un cammino fatto di incontro, ascolto reciproco e discernimento – ecco che torna l’immagine del camminare, la strada. L’incontro avviene, come leggiamo in Marco, per la strada: Gesù “si affianca al cammino dell’uomo e si pone in ascolto delle domande che abitano e agitano il suo cuore”. In questo modo, afferma papa Francesco nell’omelia in San Pietro, “ci svela che Dio non alberga in luoghi asettici, in luoghi tranquilli, distanti dalla realtà, ma cammina con noi e ci raggiunge là dove siamo, sulle strade a volte dissestate della vita”.
Se i padri conciliari, nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium, hanno voluto scrivere che la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, ecco l’Assemblea dei vescovi, dal titolo “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”, si pone lungo questa prospettiva perché fare Sinodo “significa camminare sulla stessa strada, camminare insieme”. In perfetto stile ignaziano, Francesco suddivide la sua riflessione – “un test sulla mia fede” – in tre diversi momenti, a partire dalla domanda del giovane: “che cosa devo fare per avere la vita eterna?”; e sottolinea, in primo luogo, l’aspetto commerciale della richiesta del giovane: “dover fare”, “per avere”. La religiosità del giovane, dice Francesco è “un dovere, un fare per avere; ‘faccio qualcosa per ottenere quel che mi serve’”. Ecco il “rapporto commerciale con Dio, il do ut des. La fede, invece, non è un rito freddo e meccanico, un ‘devo-faccio-ottengo’. È questione di libertà e di amore”. Se la fede, dice il Papa “è principalmente un dovere o una moneta di scambio, siamo fuori strada, perché la salvezza è un dono e non un dovere, è gratuita e non si può comprare. La prima cosa da fare è liberarci di una fede commerciale e meccanica, che insinua l’immagine falsa di un Dio contabile, un Dio controllore, non padre”.
Il passo del Vangelo ci dice anche che Gesù prima ancora di chiamare alla sequela – “va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi” – ama colui che invita a essere suo discepolo: “fissò lo sguardo su di lui, lo amò”. Il vero volto di Dio “è amore e accoglienza”. Ecco da dove “nasce e rinasce la fede: non da un dovere, non da qualcosa da fare o pagare, ma da uno sguardo di amore da accogliere”.
Infine, dono e gratuità. Forse è quello che manca anche a noi, dice il vescovo di Roma.
“Spesso facciamo il minimo indispensabile, mentre Gesù ci invita al massimo possibile. Quante volte ci accontentiamo dei doveri – i precetti, qualche preghiera e tante cose così – mentre Dio, che ci dà la vita, ci domanda slanci di vita”.
“Una fede senza dono e gratuità è incompleta è una fede debole, ammalata. Potremmo paragonarla a un cibo ricco e nutriente a cui però manca sapore, o a una partita ben giocata ma senza gol”. Una fede “senza dono, senza gratuità, senza opere di carità alla fine rende tristi”. Non una cosa meccanica, non un “rapporto di divere o di interesse con Dio”, ma dono da alimentare “lasciandomi guardare e amare da Gesù”