“Lasciar andare” i figli. Una riflessione sul compito educativo dei genitori ispirata all'episodio evangelico di Gesù dodicenne fra i dottori
Un episodio emblematico che ci permette di sperimentare la piena umanità della famiglia di Nazareth in una situazione di tensione e, nello stesso tempo, un modello di comportamento virtuoso nel difficile compito educativo
Con una brevità di giorni che non sempre viene incontro alla nostra capacità di assimilare il mistero, poco dopo la solennità del Natale, abbiamo celebrato la festa domenicale della Sacra Famiglia e il Vangelo di Luca ci offre la possibilità di confrontarci con l’episodio in cui Gesù si attarda coi dottori del Tempio a Gerusalemme, facendo perdere le sue tracce a Giuseppe e Maria. È un episodio emblematico che ci permette di sperimentare la piena umanità della famiglia di Nazareth in una situazione di tensione e, nello stesso tempo, un modello di comportamento virtuoso nel difficile compito educativo. I genitori di Gesù, infatti, sono realmente preoccupati per la scomparsa di loro figlio e lo troveranno fra i dottori solo dopo tre giorni. Possiamo immaginare lo spavento e provare ad immedesimarci. Quando trovano il ragazzo, come tutti noi non nascondono la loro ansia e preoccupazione, ma ciò che li distingue è che non lasciano che la tensione si trasformi in ira, improperi, minacce di castighi e non abbiamo motivo di credere che essi siano taciuti dall’evangelista. Realmente il padre e la madre non perdono coesione e non iniziano ad accusarsi e attribuirsi colpe o reciproche recriminazioni per quanto avvenuto. Maria chiede spiegazioni “perché ci hai fatto questo?” e prosegue “tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo”, c’è una comunione che non si infrange anche di fronte all’emergenza. I due sono insieme, ci immaginiamo che si tengano per mano e si sostengano come hanno fatto durante la ricerca del ragazzo scomparso. Spesso, invece, quando un figlio non si comporta come vorremmo, siamo tentati di definirlo “tuo figlio” all’altro coniuge, come se la disubbidienza fosse la conseguenza negativa della mancata educazione ricevuta da uno dei due. Oppure ci iniziamo a chiedere dove abbiamo sbagliato per quel comportamento che ci appare così diverso da ciò che abbiamo trasmesso in termini di regole e buona condotta. Gesù con la sua domanda “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”, risponde con parole intrise di un’intenzione e una saggezza profonde che se da un lato sono l’espressione esclusiva del suo essere il figlio di Dio, dall’altro possono indicare la condizione di ogni figlio che viene al mondo nel momento in cui ricorda a chi lo ha generato nella carne che non è una sua proprietà, né una proiezione di desideri e aspettative dettate da una logica di possesso. Nessun figlio è solo nostro e il suo viaggio non può essere pilotato da noi. Possiamo stare a terra e guardarlo decollare, o al massimo in un’ipotetica torre di controllo a dare qualche indicazione di rotta, ma non è possibile sostituirci nel volo. Il “lasciare andare” i nostri figli, dall’adolescenza in avanti, evitando di legarli a noi per egoismo o per paura è una dinamica dolorosa ma necessaria che ha bisogno di tempo per essere metabolizzata e vissuta pienamente. È come se da entrambe le parti si fosse chiamati a coeducarsi alla libertà a cui siamo chiamati per essere pienamente noi stessi, gli uni al servizio degli altri. Anche Giuseppe e Maria, nonostante la loro purezza di cuore, ci dice l’evangelista che “non capirono” sul momento le parole di Gesù, ma ciò nonostante lo riaccolgono e il figlio accetta di rimanere loro sottomesso, rimanendolo ancora a lungo. Modello di accoglienza ineguagliabile è la madre che “custodisce tutte queste cose nel suo cuore” e siamo spinti a credere che proprio grazie a questa custodia, accompagnata dalla saggezza silenziosa di Giuseppe, Gesù “cresceva in sapienza, età e grazia”. L’augurio che come famiglie possiamo farci è di collaborare alla crescita dei nostri figli cercando di ricostruire quel clima di amore fecondo che ha alimentato le relazioni della santa famiglia. Non un modello da porre su un piedistallo irraggiungibile, ma un esempio concreto di vita vissuta, secondo quelle piccole ubbidienze quotidiane che innervano la nostra fedeltà al disegno del Signore per ciascuno di noi.